Ultimo Aggiornamento giovedì 7 Novembre 2024, 10:48
Al contrario di ciò che accade nel panorama europeo, nel nostro Paese
c’è carenza di aziende che hanno raggiunto e superato la quotazione di
un miliardo di euro, i cosiddetti ‘unicorni’.
L’Italia non è (ancora) una Nazione amica delle startup ed in buona
parte il problema risiede nei capitali a disposizione.
Attualmente il nostro Paese ha all’attivo un numero di unicorni che si
conta sulle dita di una mano.
Ce l’ha fatta Satispay, il sistema di
pagamenti digitali fondato da Alberto Dalmasso, Samuele Pinta e Dario
Brignone nel 2013, quando avere un unicorno italiano era quasi
impensabile. L’azienda è arrivata a un miliardo di valutazione in meno
di dieci anni.
Tra gli unicorni c’è anche Scalapay, attiva nel settore della fintech e
specializzata nella rateizzazione dei pagamenti. Lo scorso febbraio ha
raggiunto il miliardo di dollari. La lista di aziende italiane che
supera quel valore sembra destinata ad aggiungere presto anche Bending
Spoons e MusixMatch, due start up attive nel settore digitale e
musicale, che hanno ricevuta molta attenzione mediatica negli ultimi
anni.
Il divario con altri Paesi europei appare evidente se si confronta
anche il capitale raccolto. Basti pensare che le startup francesi hanno
raccolto oltre 10 miliardi di euro nel solo 2021 e 35 miliardi negli
ultimi 10 anni. In Spagna gli investimenti di venture capital hanno
superato i 4 miliardi di euro nel 2021, portando la raccolta degli
ultimi 10 anni a 10.4 miliardi.
Nell’ambito del Venture Capital, l’Italia sembra più affine all’Est
Europa che al resto del continente. I più attivi sono gli svedesi,
grazie ai loro 28,900 unicorni, seguiti dai Paesi Bassi e dalla
Svizzera.
Un fattore da considerare è il difficile quadro macroeconomico, che
condiziona la crescita delle aziende. Dallo scoppio della guerra in
Ucraina, i fondi ed i Venture capital sono diventati più prudenti e c’è
stata una generale diminuzione degli investimenti in startup,
accompagnata dal taglio di molti posti di lavoro.
Nel nostro Paese il valore delle aziende tech, le più innovative, che
hanno ricevuto fondi di Venture capital, in proporzione alla popolazione
è di 700mila dollari pro capite, meno che in Polonia.
Paolo Gualtieri, docente dell’Università Cattolica, ribadisce
l’importanza dell’ecosistema per la crescita delle aziende: “Le start up
di successo nascono vicino alle università e nell’indotto di Big tech,
anche se oggi dobbiamo registrare con qualche preoccupazione che il
sistema globale finisce per premiare, a livello di ricadute finanziarie,
gli investitori rispetto ai fondatori”.
Di modificare la legge sulle startup dovrà occuparsi, se lo vorrà, il
nuovo Governo. Del resto di acqua sotto i ponti ne è passata tanta, da
quando la precedente venne approvata dal Governo Monti, con Corrado
Passera, allo sviluppo economico.
Certamente negli ultimi anni il settore non si è arenato e la sua
crescita è costante. Tra le speranze azzurre ci sono nomi come
Moneyfarm, Soldo, Credimi, Roboze, Casavo ed Everli.
Alle future valutazioni l’ardua sentenza.
Giulia Cortese
Giornalista
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