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Ott 21, 2019 Lifestyle, Società
Pubblichiamo il contributo di un giovane, universitario, che ragiona sui Social Network e ci trova in sintonia con le sue parole
Non so quanti abbiano letto “Il silenzio delle pietre” di Vittorino Andreoli – lettura per altro che consiglio – ma, per quanto mi riguarda, posso dire di esser giunto ad un momento della mia vita, della mia giovane vita, in cui trovo necessità di un ritiro. Solitudine e quiete. Purtroppo, come universitario, non ho ancora la possibilità economica per una casa sperduta nel Nordovest della Scozia – come troviamo nel libro di Andreoli – ma in quest’ultimo periodo ho cercato di isolarmi.
Ai più potrà sembrare una scelta inusuale, inconsueta e, d’altra parte, forse malsana, ma al giorno d’oggi siamo bombardati d’informazioni ed il malcostume – soprattutto nella politica odierna – è dilagante; non riesco a guardare un telegiornale o usare dei social network senza rimanere colpito dalla deriva della società odierna. Deriva perché? Una domanda legittima.
Ero solito – come molti fanno – commentare la politica italiana sui social media, sino a qui nulla di male, e ho cominciato lentamente ad interrogarmi sul perché: ogni nostra azione alla fine è dettata da necessità personali, siano esse coscienti o subcoscienti.
Mi sono reso conto che questa voglia di dire la propria è un tentativo che ognuno fa d’influenzare chi ci sta attorno, in una società globalizzata, sempre più grande, sempre più indefinita, si cerca di contare e di far veicolare il proprio assenso, il proprio dissenso o il proprio disagio.
C’è chi parla perché ha qualcosa da dire, il mio caso, e quindi si trova un pulpito che nel mondo reale – al di fuori dei social network – non s’avrebbe, e c’è chi parla perché ha bisogno d’attenzione, perché si sente schiacciato dai soprusi della società; in questo secondo caso qualche novello Fantozzi incattivito che in qualche modo si sente protetto dalla “grandezza” del web. Questo secondo caso è il caso dei c.d. “hater” – odiatori seriali presenti nel web.
La domanda che mi sono posto è quale tipo di contributo posso dare al mio Paese seguendo le piazze digitali, quale beneficio darei al Paese discutendo con degli ignavi da dietro uno schermo – loro rimarrebbero sula loro posizione ed io sulla mia, tutto ciò generando cosa?
Mi sono chiesto se do effettivamente un contributo, con una presenza nel mondo digitale ed a prescindere se – con le mie opinioni – influenzo qualcuno. Mi sono reso conto che il Paese non lo risano condividendo il mio pensiero su Facebook. Sì, può esser una deduzione scontata e ne sono consapevole.
Per arrotondare, arrotondare per i miei studi universitari, e d’altra parte un giorno vorrei anche una pensione, mi sono trovato un lavoretto stagionale in agricoltura… Sì, sono forse tra quei (pochi) giovani sognatori romantici che sperano ancora in una pensione e che pensano ancora che versare qualche soldo all’INPS non faccia male.
Vittorio Feltri (forse) sarà fiero di me – è nota la sua opinione per cui molti giovani oggi dovrebbero riscoprire la zappa. Un lavoro umile, pesante ma dà soddisfazione.
Sono giunto alla conclusione di Feltri da un percorso diverso: per quanto sia un lavoro umile mi piace pensare che in queste settimane di “silenzio social” sto generando – nel mio piccolo – prodotto interno lordo nel mio Paese. Sto contribuendo alla cassa INPS ed in un certo senso sto cominciando ad introdurmi nel mondo del lavoro: fermo restando non sia il mio obiettivo professionale di domani il lavoro manuale nel settore agricolo.
Da giovane universitario dico ai giovani miei coetanei che se si vuole sanare il Paese, non è il commento social, l’ardito dissenso da piazza virtuale, che cambia le cose. Quello è cercare d’influenzare gli altri per far fare qualcosa che vorremmo noi. Il punto quindi non deve esser l’altro, quello che fa o non fa, ma quello che facciamo noi stessi e se siamo soddisfatti di quanto facciamo.
Non sarò un esempio di virtù e – Dio ce ne scampi – non lo vorrei mai essere, esser messo su altare ed osannato non fa per me, ma preferisco ripromettermi – in attesa della laurea e di una qualifica superiore –di cercare dei lavoretti, per ammortizzare le spese, e per generare prodotto interno lordo.
E’ una banalità ma le cose ovvie oggi vengono date per scontate e forse non ci si riflette, ma quelle poche parole all’incipit della Costituzione, all’articolo primo, sottolineano in modo particolare come la Nazione sia fondata sul lavoro.
Le obiezioni – per altro giuste – che mi si possono muovere sono che non vi sia molto lavoro, data la situazione geo-economica del Paese, e che non tutti lo possano trovare – anche in riferimento a piccoli lavori stagionali – ma il messaggio in cui mi cimento è un altro: anziché investire tempo nei social network, mondo virtuale, s’investa tempo nel mondo reale, nel cercare lavoro (o al limite far volontariato) ed occupare quelle ore che altrimenti passeremmo in rete a commentare, pontificare o farci gli affari degli altri.
E’ inutile che io critichi Salvini perché nella sua vita non ha mai fatto nulla: è vero. E’indignitoso! Ed è un fatto acclarato. Ma… Se non mi va bene cosa posso fare? Posso lamentarmi ed attaccarlo o posso cercare di esser migliore.
Questo Paese ha bisogno di esempi, ha bisogno di qualcuno che sia coerente con se stesso, e se voglio combattere quel modello indignitoso, incoerente, che critico tanto, devo non tanto portare la mia voce nelle piazze – reali o digitali che siano – ma devo veramente aver fatto la mia parte; ciò non per una questione di “diritto a parlare” ma per onestà, onestà intellettuale, e preferisco ritirarmi da questo mondo in rete -drogato forse dalla troppa vanità e dalla superbia.
E’ comodo costruire una maschera di sinistra, destra, centro ed ingannare gli elettori: qui ne avrei per tutti ma il punto è un altro! I giovani ed i meno giovani a cui non va bene questo “mercato delle vacche” hanno in soldoni due alternative: possono esser imprenditori di se stessi – e dare il loro contributo, in varie forme – o lamentarsi.
La pressione fiscale è alta, il debito pubblico pure ed abbiamo in parlamento degli scimpanzé che esultano per taglio dei parlamentari (taglio pari allo 0,007% della spesa totale) per un risparmio di circa 57 milioni di euro quando in realtà avremmo – secondo l’osservatorio dei conti pubblici di Cottarelli – circa 100 miliardi di euro di spesa inutile, sterile.
Il taglio della spesa inutile sblocca risorse immani da reinvestire ma è impopolare – quanti voti? quanti like? – e chi ci vuole metter la faccia: è un intervento radicale e strutturale Quanti disoccupati per finanziare taglio delle tasse, investimenti su istruzione, ricerca ed infrastrutture?
A me sembra quasi che la politica ormai sia a colpi di “Mi Piace” su Facebook, con annunci e contro annunci, e chi dovrebbe prender le decisioni ormai non si occupa più di ragionamento generale, ma si tratta solo di trovare consensi virtuali nel sistema Paese, facendo il meno possibile per accontentare tutti e non scontentare nessuno – ciò ovviamente abdicando alla funzione reale della politica, quella di trovare soluzioni (piacciano oppure no).
La quiete, il silenzio, la riflessione su noi stessi che evocavo in incipit – traendo spunto dall’opera di Andreoli – è uno sprono a distaccarsi e porsi degli interrogativi.
Non ho la presunzione di avere ragione perché la ragione la si dà ai matti, ma spero che – se si vorrà edificare un’alternativa – si partirà non dalla lagnanza ma… dal lavoro: sia un lavoro in senso lato, un lavoro quindi su se stessi, di riflessione, sia un lavoro in senso proprio, quindi manuale o intellettuale.
Valentino Inama
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