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Set 10, 2014 Attualità, Italia
Roma, dal corrispondente
O la si ama o la si odia. Tendenzialmente ad amarla sono gli utenti e a detestarla invece i tassisti. Già questo farà capire di cosa si parla: Uber. La start up americana che ha rivoluzionato il mercato della mobilità non di linea, in diverse capitali del mondo e che continua a mietere tanti consensi quante critiche, ha subito il primo vero stop in Europa. Le notizie che giungono dalla Germania, dove la corte di Francoforte ha messo al bando l’utilizzo dell’applicazione (soltanto UberPop e non il servizio con conducente) pena un’ammenda massima di 250.000 euro a carico dei trasgressori, hanno già scatenato le reazioni tanto da parte della società di San Francisco (presumibilmente farà ricorso), che tra le fila degli agguerriti tassisti che cantano una mezza vittoria.
Guardando in casa nostra, e tralasciando tutte le dichiarazioni di politici, tassisti e uberiani, il discorso attorno a quella che potrebbe essere letta come una vera rivoluzione, dovrebbe essere affrontato seriamente, e con uno spirito costruttivo. In Italia i taxi hanno un prezzo medio molto alto e gli utenti lo sanno, come pure i tassisti e il Governo.
Governo che ha preferito nel tempo girarsi dall’altra parte piuttosto che inimicarsi una categoria che con troppa facilità mostra i muscoli lasciando nel caos intere città paralizzate da fiumi di macchine ferme. Così, le riforme che avrebbe necessitato il settore, sono state abbandonate e con esse il problema più in generale. Con buona pace degli utenti, gli unici a perdere in questo braccio di ferro. Quello che nessuno si aspettava, però, è che tutti gli equilibri faticosamente trovati fossero scardinati dall’esplosione della sharing economy, di cui Uber è l’esempio perfetto. Un sistema di economia alternativa per cui chi ha qualcosa lo condivide a un prezzo mediamente inferiore rispetto allo stesso servizio ordinario. Le critiche, se comprensibili quelle mosse dai tassisti, risultano fuori luogo se portate da politici e amministratori, che, a rigor di logica, dovrebbero essere attenti a qualsiasi cambiamento possa migliorare la vita giornaliera dei cittadini. Uber, così come qualsiasi tipo di economia condivisa, non è certo la soluzione della crisi finanziaria mondiale, ma è comunque una risposta importante. Anche se a sponsorizzarla sono dei grandi gruppi finanziari. Poco importa al singolo utente se dietro ci sia Google, la NASA o gli alieni. Il discorso è che in un periodo in cui le contrazioni economiche pesano anche sulle classi medie, avere un servizio a prezzi vantaggiosi è, comunque, una vittoria per il cittadino. Ora tocca alla politica “mostrare gli attributi” e fare ciò che ci si aspetta facciano i governi: prendere decisioni sagge e mostrare un minimo di sana lungimiranza. Regolare il tutto, togliendo di mezzo quelle scuse sulla (presunta) insicurezza del servizio che sinceramente non convincono neanche chi le propone, sarebbe la vera rivoluzione. Non si può liquidare Uber come fosse un male per la società soltanto perché mette in discussione equilibri e guadagni di un settore che, così com’è, non sta più al passo con i tempi. Ieri il nemico era il Noleggio con Conducente, oggi Uber. Continuare a fermare un processo di liberalizzazione che si sarebbe dovuto avviare parecchio tempo fa, non giova né ai tassisti né al Governo, che in questa occasione avrebbe dalla sua anche la scusa per metterci mano definitivamente. Il taxi, l’NCC, Uber, il Car Sharing, sono tutte buone occasioni – soprattutto nelle città più congestionate – per scegliere un mezzo condiviso a discapito della macchina privata. Il tutto però a patto che siano presenti in maniera capillare e convenienti in senso economico. Aumenterà così la richiesta e con lei i guadagni.
Luca Arleo
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