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Dic 27, 2014 Attualità, Italia
Roma, dal corrispondente
Con il ballottaggio del 21 dicembre la Tunisia può dire di aver concluso più che positivamente il percorso democratico iniziato nel 2011, con la cosiddetta Rivoluzione dei Gelsomini.
Con il 55,68% Beji Caid Essebsi, leader di Nidaa Tounes, partito già vincitore delle scorse elezioni legislative (36% contro il 26% del partito filo-islamico Ennahda), si impone nelle prime Presidenziali libere della storia tunisina e si colloca come ponte fra la vecchia Tunisia e quella nuova post-rivoluzionaria.
I critici lo indicano come uomo troppo vicino all’apparato di Ben Ali (in cui effettivamente ha militato come funzionario), ma in molti hanno evidentemente ritenuto più credibile la sua figura rispetto a quella dello sfidante Moncef Marzouki, sostenuto dagli islamici.
Dopo il caos seguito agli omicidi politici avvenuti nel corso del 2013, ai danni di due esponenti di partiti contrari alle posizioni troppo filo-islamiche dell’allora formazione al governo Ennahda, la Tunisia ha dovuto affrontare un percorso travagliato che ha messo in luce una determinazione fondamentalmente democratica, portando alla stesura di una costituzione da tutti ritenuta illuminata, se considerata nel contesto dei paesi arabi, ad elezioni legislative per la formazione del parlamento e, infine, appunto alle Presidenziali che hanno terminato il ciclo di formazione del tessuto politico sociale del Paese. Il contesto in cui tutto questo va inquadrato è quello che conosciamo bene e che riguarda Paesi come Egitto e Libia, per citare i due maggiormente interessati insieme alla Tunisia alle Primavere Arabe, in cui le rivoluzioni di massa che hanno comunque portato all’allontanamento dei dittatori al potere, non sono riuscite però a sfociare e realizzarsi poi in veri processi democratici compiuti.
Nel paese dei Faraoni la storia si è ripetuta uguale a se stessa e abbiamo assistito all’ennesimo golpe militare che ha scalzato i Fratelli Musulmani saliti al potere democraticamente, per poi rimpiazzarli con un generale senza mostrine che non può dirsi propriamente liberale.
In Libia, senza troppi giri di parole, abbiamo assistito alla distruzione di un Paese, per come noi intendiamo l’entità Stato. Quello che rimane della Libia, è un insieme disomogeneo di gruppi tribali che rivaleggiano l’uno contro l’altro, per garantirsi autonomia e accesso alle risorse. Il governo centrale esiste soltanto di nome.
Algeria e Marocco, sono stati meno intaccati dalle rivolte per motivi diversi tra loro che vanno, dalla storia relativamente recente dei primi che mai vorrebbero correre il rischio di rivivere un periodo come quello degli anni 90. Per arrivare al tessuto sociale dei secondi che, a differenza di tutte le altre piazze non hanno mai chiesto rovesciamenti o defenestrazioni, ma soltanto concessioni che il Re ha timidamente concesso e che comunque vanno inquadrate in un contesto più pacifico, rispetto a quello di altri Paesi. Davanti a questi dati, la situazione tunisina acquista maggior credito e allo stesso tempo si carica di maggiori responsabilità. Essere l’unica alternativa riuscita, ad un periodo di rivolte, evidentemente pone Tunisi su di un piano verso cui in molti guarderanno.
Di certo per la piena riuscita di questo processo, sarà importante constatare come i rapporti con i vicini e i partner commerciali verranno impostati. L’Italia, ad esempio, che ha visto Matteo Renzi effettuare il primo viaggio ufficiale da Presidente del Consiglio proprio a Tunisi, non potrà farsi sfuggire l’occasione di aiutare e promuovere questo avvenimento che, com’è facile immaginare, avrà dei risvolti – sia sociali sia economici, anche per il nostro Paese.
Luca Arleo
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