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Set 01, 2011 Cosa bolle in Pentola
Abbiamo attraversato l’Italia in auto, partendo da Milano e percorrendo tutta la costa Adriatica di notte, in modo da arrivare alle porte del Salento quando il sole comincia ad albeggiare e la terra intera si risveglia.
I colori, di prima mattina, sono già carichi di tonalità forti, dal rosso della terra al bianco della pietra al verde e giallo dei campi e il vento è caldo sulla pelle e profuma di terra bagnata, come se il mare avesse coperto tutto di notte e si fosse appena ritirato, lasciando il terreno intriso del proprio aroma. Il vento muove le fronde degli ulivi che frusciano e lasciano cadere qua e là qualche oliva, gli animali spuntano dalle loro tane e corrono sugli ampi terreni che ci circondano. Distese di alberi, campi coltivati, terreni incolti e lasciati a se stessi, qualche abitazione abbandonata e poi improvvisamente ecco un paesino arroccato sulla strada. Qui gli edifici sono molto bassi, al massimo due o tre piani e hanno tutti gli immancabili vecchini comodamente sittati davanti al portone. Procediamo con attenzione, guidare su queste stradine è un vero terno al lotto: ci vuole sangue freddo per passare indenni attraverso le macchine parcheggiate in mezzo alla strada, le viuzze strette e arzigogolate, la guida sportiva degli indigeni e i pedoni impazziti che, con sprezzo del pericolo, attraversano all’improvviso le strade. Per non parlare dei giorni prima di qualche festività: ogni via si riempie di luminarie enormi e ingombranti, cartelloni e transenne che bloccano e cercano di dirottare il traffico, già disordinato, verso altri punti del paese. Mano a mano che il sole sale nel cielo e noi ci lasciamo alle spalle sempre più chilometri, i rumori aumentano e il dialetto ci circonda e ci insegue, aumentando in prossimità del panettiere e del fruttivendolo. Qui si incontrano in molti, si scambiano pettegolezzi e guardano con fare sospetto i nuovi venuti salvo poi, ad un sorriso invitante, lasciarsi andare e raccontare, con ricchezza di dettagli, la propria vita. Le comari, in particolare, si raggruppano tra di loro scambiandosi pareri sui nipoti, sui figli e su faccende di famiglia di assoluta importanza o su qualche corredo appena finito di ricamare e si salutano dandosi appuntamento il pomeriggio tardo, dopo il grande caldo, oppure al mercato che si terrà in paese il giorno dopo o alla messa della domenica. In effetti incontriamo molti anziani ma anche giovani che, al contrario di quel che si dice, non sono scomparsi da questi luoghi. Tutti qui sorridono e procedono con estrema calma, ma c’è anche chi è di corsa perché deve andare al lavoro, anche se, potremmo dire noi da turisti del nord, la gente qui non è neanche lontanamente stressata come lo siamo noi la mattina in metropolitana o nel traffico milanese, quando dobbiamo raggiungere il nostro posto di lavoro.
Continuiamo il nostro viaggio verso la punta d’Italia attraversando agglomerati di case più o meno sviluppati, passando anche attraverso le grandi città, Brindisi e Lecce, e andando oltre.
Il fascino della terra salentina è davanti a noi. Si tratta proprio di queste strade impolverate che proseguono per chilometri senza la minima preoccupazione per il proprio stato, si tratta dei cespugli di fiori che improvvisamente invadono la carreggiata, dei muretti di pietra che proteggono trulli abbandonati, i caratteristici edifici in pietra di queste zone e poi, e all’improvviso in lontananza, del rumore di un vecchio motorino che si perde fra i sentieri dei campi. Per non parlare del mare che sembra giocare a nascondino con noi, che appare e scompare all’improvviso protetto da una lunga distesa di scogli o da una calda lingua di sabbia dorata e che è guardato a vista dalle innumerevoli torri e dai piccoli castelli dislocati lungo la costa. Questi servivano, nel passato, come elemento di difesa, soprattutto per avvistare l’avanzata delle navi turche che per lungo tempo hanno invaso Otranto e altre aree della penisola salentina e a dare l’allarme verso l’entroterra attraverso segnali luminosi che venivano immediatamente trasmessi da una torre a quella successiva. Questa terra non sarebbe così affascinante senza il sole caldo e alto nel cielo, il vento avvolgente e la terra che sembra ansimare assieme a noi, fino a buttarsi nel mare che la circonda. Soprattutto non sarebbe un viaggio nel Salento senza visitare Santa Maria di Leuca, un paese nell’estremo sud che occupa proprio quel pezzettino di terra che forma il tacco del nostro stivale, Punta Meliso, che divide le acque del Mar Adriatico e del Mar Ionio. Proprio qui, inoltre, sorge il faro, attivato nel 1866 e ancora attivo, i cui tre fasci di luce sono visibili fino a 40 km e, in determinate condizioni meteorologiche, anche oltre.
Se poi riuscite a raggiungere Leuca a Ferragosto, potrete assistere alla festività in onore della Madonna. La statua della Madonna viene portata in processione e fatta imbarcare su una paranza di pescatori. Una volta giunta via mare nei pressi della marina di San Gregorio, la processione torna indietro. Ogni spostamento della statua è seguito da vicino da una folla in festa che dedica questa giornata alla Vergine, considerata la protettrice dei pescatori e della stessa Leuca. I festeggiamenti non terminano mai prima di mezzanotte perché è a quest’ora che, ogni anno, si assiste ad un bellissimo spettacolo di fuochi d’artificio, chi dal tetto della propria casa, chi dal lungomare e dalla spiaggia.
Tutto questo e molto di più è la punta più a sud d’Italia, dove si dividono i mari e la terra è rossa, dove il sole nasce e muore sul mare, dove il vento è caldo e abbraccia ogni cosa. E come hanno detto in un recente film di Claudio Bisio, quando vieni al sud piangi due volte: quando arrivi e quando te ne vai.
Francesca Stefanachi
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