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Lug 01, 2017 Attualità, Italia
Roma, il corrispondente
Roma da mesi è al centro di un dibattito politico che sta assumendo sempre più i connotati di una guerra di posizione inutile e dannosa.
Sulla pelle della città, è ormai chiaro a tutti, si gioca una partita i cui frutti saranno presumibilmente utili alle prossime elezioni, e che quindi fino a quel giorno continuerà ad essere portata avanti nonostante la pericolosità e le potenziali conseguenze.
Per i rifiuti ed il trasporto pubblico sembra non esserci soluzione se non quella di individuare chi ha più responsabilità: l’attuale amministrazione o quelle precedenti. Come se la cosa, una volta assodata, producesse magicamente la soluzione al problema. Del resto si sa che “È meglio cedere il passo ad un cane che esserne morsicato per una quesitone di principio. Anche se lo si ammazzasse, il morso resterebbe”.
Un aspetto emblematico di questa scarsa consapevolezza, che, sia chiaro, stanno dimostrando tutte le forze politiche nessuna esclusa, è la mancanza di determinazione con cui si sta affrontando l’impoverimento dell’industria – con ovvie ripercussioni sull’occupazione – di Roma e del Lazio.
La lista delle aziende che per diverse ragioni stanno progressivamente lasciando la capitale si è allungata negli ultimi mesi, ed il dato diventa ancora più preoccupante se analizzato assieme a quello altrettanto negativo relativo alle imprese che decidono di sbarcare nell’URBE.
Un aspetto di questa diaspora che dovrebbe impensierire ulteriormente i politici della capitale è quello che riguarda gli approdi della stessa. La maggioranza delle aziende che hanno scelto di partire hanno dovuto fare un viaggio di poche centinaia di km: Milano.
Da una parte la cosa dovrebbe far piacere; del resto i capitali sono rimasti all’interno del tessuto economico italiano e lo stesso dicasi per i posti di lavoro. Almeno di quelli confermati.
Ma allo stesso tempo questa scelta porta con sé altre considerazioni.
Anzi, per prima cosa impone una domanda: perché?
Si potrebbe comprendere uno spostamento in un paradiso fiscale o in qualche area comunque a tassazione agevolata, ma perché smobilitare per andare ad un paio di ore di distanza?
In alcuni casi le motivazioni sono di ordine pratico: si è deciso di investire, come nel caso di Sky, in un polo unico per tutte le attività del gruppo. E quel polo è stato individuato in Milano.
Di fianco a queste considerazioni, però, la stessa TV satellitare ha spiegato bene come a convincere il management siano state anche ragioni di carattere tecnico: la migliore logistica, i trasporti più efficienti e la miglior qualità dei sistemi di trasmissione.
Ma come abbiamo detto, Sky rappresenta solo una delle aziende coinvolte in questa transumanza verso nord. Ci sono quelle del settore farmaceutico o altre del radiotelevisivo, con Mediaset che sulle orme della collega straniera, sta meditando un clamoroso abbandono degli studi romani del Palatino, con motivazioni più o meno analoghe.
Aziende come Almaviva hanno tristemente lasciato il segno.
Oltre 1600 persone che, per ragioni molto difficili da comprendere, hanno dovuto improvvisamente reinventare la propria vita, dopo la chiusura dell’azienda più rappresentativa del settore call center. 1600 famiglie, molte delle quali con entrambi i partner impiegati all’interno dell’azienda, che vanno a sommarsi con quelle precedentemente lasciate a casa da Alitalia che, presumibilmente, ricorrerà ancora una volta a licenziamenti collettivi stando a quanto si apprende dai media.
Alla luce di tutto questo, che rappresenta un ritratto minimo e poco dettagliato se rapportato alla complessità della materia, c’è bisogno di un intervento serio e coordinato di tutti i livelli politici coinvolti.
Un modo per rendere più difficile la scelta di lasciare Roma per mete più appetibili è quello di rendere Roma stessa più attrattiva per aziende e nuove imprese.
Pochi giorni fa, un articolo definiva la situazione di Roma preoccupante. Si rischia di assistere ad una desertificazione delle grandi aziende per far posto a piccole ditte legate a comparti quali turismo e ristorazione. Un rischio che la città deve per forza scongiurare.
Luca Arleo
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