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Apr 29, 2014 Terza Pagina
Immagine fornita dall’Ufficio Stampa Comune di Milano
Un anno fa ci lasciava Enzo Jannacci, che Milano commemora fino agli inizi di Giugno con l’iniziativa “Ciao Enzo” . Un artista poliedrico, con tante facce: autore di canzoni, libri, testi per il cinema e la televisione, musicista, attore, cabarettista, monologhista e poi anche medico. Una figura anomala nel panorama artistico italiano. Così originale, talentuoso e schivo non c’è nessun altro. Faceva tutto bene, ma sembrava far tutto per caso. Anche se in realtà aveva un immenso talento. Nella mia vita di giornalista randagio che ha scelto la libertà, gli ho parlato con calma e con tempo a disposizione solo due volte: una in un grande albergo della Riviera Ligure: era molto stanco e aveva poca voglia di parlare. Un’altra, a Milano al termine di un concerto: era altrettanto stanco ma molto ciarliero. Appariva stralunato, con gli occhi intelligenti sempre in movimento. Il suo sguardo mi sembrava sempre un po’ triste, ma forse è un’impressione sbagliata.
Enzo Jannacci non ha eredi, sia quando cazzeggia e lo ha fatto molto spesso, sia quando ti prende allo stomaco, con le sue ballate, poco capite, di solito, dalla critica serva. Lui quando riceveva critiche forti, sorrideva, ma dentro di sé ci rimaneva molto male. Aveva un grande dono, sapeva essere ironico, ma soprattutto autoironico e nell’ambiente dello show biz italiano (ma anche in molti altri ambienti: dalla politica, all’università, al giornalismo) capita di rado. Quando si ascolta un suo brano, la reazione è quasi sempre la stessa: subito si sorride, poi si viene assaliti da una enorme inarrestabile malinconia. A proposito, ascoltate Son s’scioppaa e Vincenzina e la fabbrica e ve ne accorgerete.
Mauro Pecchenino
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