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Mar 13, 2010 Cosa bolle in Pentola
Facciamo un gioco di immaginazione. Poniamo che un giorno un pittore abbia l’idea di introdurre nei suoi lavori delle frasi, dei messaggi a parole per sottolineare il significato del dipinto, o magari per aumentarne l’espressività; per realizzare la sua idea. Il nostro pittore ha bisogno di dare al messaggio scritto la giusta posizione all’interno dell’insieme – per questo motivo rimpicciolisce il soggetto, che occupa troppo spazio, rubandolo alle parole, non perde troppo tempo a lavorare sulle ombre e sceglie dei colori che approssimativamente si armonizzino al messaggio.
Poniamo poi che questa opera ottenga un successo notevole alle mostre, a cui viene esposta, tanto che al suo autore ne vengono commissionate altre simili. Gli altri pittori, legati ai precetti artistici tradizionali, non rimangono indifferenti alla nuova tendenza che il loro mercato sta prendendo – anche gli artisti devono vivere – e cominciano così a ricalcare, prima timidamente, poi con sempre meno pudore, lo stile del primo pittore destinatario dell’ “illuminazione”. Messaggi sempre più eclatanti, periodi più elaborati, caratteri ricercati….e intanto soggetti pittorici sempre meno originali, colorazioni sempre più svogliate, profondità di campo a malapena accennate.
Ecco dunque il risultato di quanto abbiamo finora immaginato: un mondo in cui la pittura è in uno stato di agonia stagnante, ridotta a mera cornice nella cornice, per servire all’eloquenza di qualcos’altro, in una situazione di generale degrado e decadimento che, se farebbe inorridire Klimt, di certo non farebbe nemmeno sorridere Carl Barks.
Completiamo ora il nostro esperimento. Trasformiamo i dipinti dell’immaginata nuova corrente in spartiti musicali: i soggetti diventano melodie, i colori si trasfigurano in tonalità, le prospettive divengono ritmi. Cos’ abbiamo ottenuto, come risultato della nostra astratta costruzione?
La risposta è lapidaria: lo stato dell’arte musicale nell’era moderna.
Pessimismo eccessivo? Astrazioni infondate?
Nessuna di queste accuse è giustificata, e i lettori tengano conto che la storia, in metafora sopra narrata, avrebbe potuto avere una forma ben più nera, e ciononostante mantenere integra la propria sostanza. Ma un breve preambolo si rende opportuno: non ci si proporrà in questa sede di lanciare un’arida serie di j’accuse sociologici o addirittura etici in nome di una mitologica morte dell’arte, ma piuttosto e molto più semplicemente (e, ove possibile, a-tecnicamente) di tracciare una diagnosi dello stato attuale della creatività musicale, nelle sue ormai ineccepibili derive patologiche e nelle cause storiche di ciò.
E per fare questo occorrerà cominciare con un salto indietro nel tempo: non molto, giusto qualche decennio…. (Continua)
Enrico De Zottis
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