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Dic 09, 2010 Terza Pagina
Ha notato negli anni dei cambiamenti nel modo in cui la sua figura di insegnante veniva percepita, sia dagli studenti che da altre persone? Se sì, quali?
Sì, purtroppo la percezione è cambiata, in particolare da quando il tempo a disposizione di queste discipline è diminuito: non c’è più un relazionamento con l’individuo, manca la possibilità di instaurare un vero rapporto individuale (per quanto forse qualcosa stia lentamente tornando in questo senso). La figura professionale di cui porto le vesti è molto meno valorizzata, e fatico a capire perché; una volta c’era un favoloso rapporto anche con le famiglie degli allievi, che venivano coinvolte. Tengo qui a sottolineare che ho sempre tenuto la mia attività di concertista nettamente staccata da quella di insegnante: spesso mi è capitato di tornare la domenica sera tardi da una performance, ed essere comunque il lunedì mattina presente e lucido a lezione. Pochissime sono state nella mia carriera le assenze per motivi concertistici.
D’altronde, se guardiamo il punto di vista invece degli allievi, il cambiamento sembra essere stato in chiave più positiva – probabilmente perché parallelamente agli allievi anche l’insegnante matura. Chi vuole il rispetto degli alunni deve prima darlo! Sono addirittura loro a chiedermi di parlare di un sacco di argomenti – tranne però la politica, che non tollero entri nelle aule: a scuola si va per studiare.
Ritiene che un’educazione musicale abbia valore nella formazione di una persona a prescindere da eventuali future applicazioni professionali?
Ha un valore fondamentale. Nell’antica Grecia si parlava di “Musiké”, intendendo con tale termine l’insieme delle discipline della musica, della danza e della poesia: insieme all’educazione fisica, era la disciplina principale nella formazione, soprattutto per i filosofi (come ad esempio i Pitagorici).
Oggi purtroppo questo non si ha più, la musica è diventata un po’ la “Cenerentola” delle discipline.
E tuttavia molti professionisti vengono da me a dire “magari avessi potuto studiare musica..però non ne ho avuto la possibilità”. Nei giovani di oggi noto poi che non c’è tanta voglia di intraprenderla come professione, perché il percorso formativo è lungo e purtroppo non è mai stato riformato. Ricordo che durante i miei primi due anni di apprendimento odiavo il pianoforte, ma mio padre insisteva dicendomi “devi conoscere la musica come qualsiasi altra disciplina”. Dopodiché ho avuto la fortuna di essere preso sotto l’ala del Maestro Buccellato, allievo del grande Tito Aprea: fu lui, insegnante tra i migliori a livello nazionale, a scoprire le mie doti, grazie alla sua dote innata di intravedere le potenzialità e il talento.
Per concludere, quanta e quale importanza dà alla sua professione di insegnante in questo momento storico-culturale che stiamo vivendo?
Un’importanza enorme ed innata, in questo momento, perché se penso alla mia gioventù rivedo in nuce i problemi dei giovani d’oggi; ricordo anche figure carismatiche, che mi hanno sostenuto nella mia crescita: uomini e donne mai tiratisi in disparte, che mi hanno trasmesso valori che a mia volta trasmetto ai miei allievi. Ritengo che gli insegnanti debbano tornare a catalizzare la volontà, la curiosità, il desiderio di crescere e di amare la vita.
La musica avvicina e accomuna, per quello l’educazione ad essa è tanto importante. Tutto ciò che rivela l’umanità all’umanità è cosa utile e buona, perché favorisce la comprensione e l’unità.
Enrico De Zottis
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