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Dic 07, 2010 Terza Pagina
– Dialogo con il Maestro Roberto Santucci ( I Parte )
Altre volte questo spazio è stato una finestra da cui si è rivendicato il valore dell’educazione musicale nella nostra società. Già in altre occasioni si è detto con forza quale importanza la musica dovrebbe avere nella formazione di ciascuno. E’probabile che su una questione di tale valore torneremo a ripeterci in futuro – ora però è giunto il momento di irrobustire le basi delle nostre affermazioni. Per farlo ci siamo avvalsi del contributo di un professionista di altissima caratura, il Maestro Roberto Santucci. Pianista originario di Cagliari, concertista conosciuto e apprezzato su scala mondiale, al pari riconosciuto nella sua veste di compositore – veste quest’ultima nella quale è stato in grado, con il solo ausilio di mani e pianoforte, di dar vita ad un nuovo genere musicale, classico e originale allo stesso tempo, battezzato non a caso dalla critica americana “New Age Classica”. Ma il Maestro Santucci non è solo questo: egli è anche uno stimato insegnante di musica e pianoforte presso un Istituto superiore di Cagliari dalla pluri-decennale esperienza, ed è da questa sua esperienza, sviluppatasi come vedremo con grande passione, che siamo andati ad attingere per argomentare ciò in cui crediamo fermamente.
Se come chi scrive credete che la cultura e la ricerca (artistiche e scientifiche) siano tra gli scopi primari che un essere umano può aspirare a dare alla propria vita, e non solo degli interludi tra una lotta per la sopravvivenza e l’altra, vi invitiamo a leggere quanto segue.
Grazie innanzitutto per aver accettato l’invito a parlare con noi, Maestro.
Per cominciare, facciamo un salto indietro nel tempo – quali erano le Sue intenzioni e aspettative quando ha cominciato l’attività di insegnante di musica?
Insegnare è un’opportunità che mi è stata offerta all’età di diciannove anni, e che io ho subito colto come possibilità di rendermi innanzitutto autonomo, e poi per poter avere un mio compito, un mio ruolo all’interno della società. Una volta iniziata l’attività di insegnamento, ho subito capito che si trattava della strada adatta a me: tramite essa mi era infatti possibile raggiungere – insieme ai miei allievi – dimensioni che solamente l’arte condivisa permette di raggiungere. Al momento di cominciare questa professione ero molto giovane, e non avevo particolari aspettative; il tempo mi ha fatto capire il mio ruolo, e mi ha spinto a mettermi in gioco.
Nella sua esperienza, quanto è importante il relazionarsi del docente di musica con l’allievo?
E’ “super” fondamentale. La comunicazione è parte essenziale dell’insegnamento: nella comunicazione c’è vita, e solamente chi ascolta può insegnare. Svolgo il mio ruolo di insegnante molto appassionatamente, e da questo punto di vista sono molto esigente nei confronti dei miei allievi. Quella che mi anima è una passione indipendente dalla mia volontà, e soprattutto è contagiosa – a tale proposito ricordo sempre con orgoglio un mio ex allievo, Matteo Martis, che ha a suo tempo vinto una borsa di studio a New York e si è laureato in composizione di musical: in seguito io stesso ho provveduto a presentarlo a Peter Gelb, direttore del Metropolitan Museum e mio caro amico.
Quali metodi utilizza e/o consiglia per stimolare l’interesse dei suoi studenti?
Seguo innanzitutto il programma ministeriale, che prevede l’insegnamento obbligatorio di musica negli orari di lezione antimeridiani e quello facoltativo di pianoforte nel pomeriggio.
Nelle mie lezioni seguo un percorso storico, a partire dalle origini più risalenti della musica, integrando soprattutto con moltissimo ascolto – la cosa sorprendente che scopro sempre è che gli allievi più giovani non sono affatto abituati a ciò, all’ascolto! La teoria deve necessariamente venire dopo questo passaggio. Le domande sorgono infatti spontanee e numerose sempre a seguito dell’ascolto. Svolgo l’insegnamento della storia della musica in una chiave interdisciplinare, partendo da un determinato periodo storico e nell’analizzarlo trovare tutti i possibili contatti con le altre discipline di studio; tappa obbligatoria di questo percorso è sempre per me il fenomeno dei Beatles, che considero mostri sacri per la musica della seconda metà del Novecento, i quali utilizzando semplicemente pianoforte, voci, chitarre, batteria e organo hammond hanno dato vita ad un’evoluzione musicale mai eguagliata (di cui un ottimo esempio è la suite Abbey Road). Tengo comunque a ribadire l’importanza dell’ascolto: ho sempre vivo il ricordo di mio padre, psichiatra, che nell’ospedale in cui lavorava faceva ascoltare Chopin nei reparti dei tisici e questo permetteva ai malati di affrontare la malattia – fino alla fine – con la speranza della guarigione.
E poi suonando ed educando ad ascoltare sono in grado di spiegare ai miei allievi cose che altrimenti non troverebbero nei libri.
Questa dimensione quasi intima diviene ancora più forte nel corso di pianoforte, nel quale ho un rapporto diretto con l’allievo: lì si creano contatti molto più profondi, entra moltissimo in gioco l’empatia tra docente e discente e si viene a formare quasi un contatto con la dimensione del concerto. (…continua )
Enrico De Zottis
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