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Ago 31, 2018 Arte & Musica, Cultura
Nella capitale francese il ventunenne Amadeus Mozart si innamorò perdutamente di una ragazza tedesca, Aloisia Weber ma finì per sposare una delle sue sorelle, Costanza (vi consigliamo Il matrimonio delle sorelle Weber di Stephanie Cowell se volete approfondire la storia) che, come lui, non aveva idea di come si amministrasse una casa: era sempre in arretrato col panettiere, col droghiere, e col fabbricante di candele (Mozart prese l’abitudine di lavorare anche di notte).
Lavorava, scriveva, suonava e provava diciotto ore al giorno. Cosa guadagnò? Una tomba tra i poveri. Era amato ed ammirato da tutti, tutti gli promettevano che avrebbero fatto qualcosa, ma nessuno fece mai niente, tranne Papà Haydn. Nel 1789 Mozart andò a Berlino col Principe Lichnowski. Il Re di Prussia lo nominò direttore della propria orchestra, assegnandogli un lauto stipendio. La fortuna girava finalmente dalla sua parte, ma la lasciò fuggire. Quando, infatti, l’Imperatore seppe la notizia, gli scrisse da Vienna: “Mio caro Mozart, è possibile che il mio caro Mozart mediti di lasciarmi?”. Commosso da tanta gentilezza, il compositore partì da Berlino per tornare a Vienna, ma all’ammirazione dell’Imperatore e al lavoro che gli venne offerto non corrispose nemmeno lontanamente un equo guadagno. I suoi connazionali non lo amavano, continuavano ad essere affascinati dalle manovre architettate dai fautori della musica italiana, capitanati dal maestro Salieri, che nutriva profondo astio verso il suo giovane rivale (la leggenda dell’avvelenamento di Mozart da parte dell’invidioso Salieri fu il soggetto di Mozart e Salieri, opera di Aleksandr Sergeevič Puškin). Gli altri compositori, i mediocri, invidiavano e temevano la sua produttività: opere e sinfonie (più di quaranta), concerti per violino e pianoforte, per clavicembalo, musica sacra, duetti, trii, quartetti e quintetti. Poi arrivò l’anno della fine.
Un nobile ambizioso, si dice il Conte Franz Graf von Walsegg, che si dilettava con la musica ma con scarsi risultati, commissionò a Mozart un requiem che voleva spacciare per suo, per pura vanagloria, ed offrì al compositore una cospicua somma di denaro. Mozart già malato a causa dell’eccesso di fatica e lavoro a cui si sottoponeva, accettò l’incarico, con l’idea fissa che il servitore che andava a sollecitarlo da parte dell’ignoto committente fosse un messaggero mandato dal Cielo, per ammonirlo della sua prossima fine. Spirò il 5 dicembre del 1791. Il giorno del funerale pioveva tanto ed i pochi amici al seguito del modesto feretro si fermarono alle porte della città e fecero subito ritorno alle loro case.
Solo Salieri ed il cane del compositore ne videro calare la salma in una fossa comune, destinata ai poveri (in realtà un decreto dell’imperatore Giuseppe II stabiliva che, per evitare spese superflue di stoffa e legno, le bare venissero dichiarate riutilizzabili e tutti i cadaveri – tranne quelli di alcune ricche eminenze – dovessero essere ammonticchiati in fosse comuni, senza lapidi). Quando pochi giorni dopo, Costanza andò al cimitero per pregare sulla tomba del marito, nessuno seppe indicargliela. Le ci vollero diciassette anni per verificare dove fosse stato sepolto il suo amato Wolfang. Oggi, al Morzarteum di Salisburgo, si trova, mancante di mandibola, il cranio del grande compositore.
Giovanna Scatena
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