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Ago 01, 2016 Attualità, World Wide
Roma, dal corrispondente
Siamo qui a commentare per l’ennesima volta, e c’è il ragionevole dubbio non sarà l’ultima, le vittime di un attacco terroristico nel cuore d’Europa. Le testate di tutto il mondo non fanno che riproporre le immagini cruente, le scene di panico, le zone militarizzate e i corpi straziati. Sempre, di continuo, per giorni. Forse troppo. Ed ecco che torna il dubbio, già sollevato da qualcuno, che tutto il circo mediatico potrebbe rivelarsi un boomerang, affinché tutto questo diventi un triste cerimoniale.
Riflettendo sugli ultimi mesi, difatti, la copertura giornalistica ha sovraesposto questi episodi, proponendoli in tutto il loro terrore, ma anche concedendo una platea potenzialmente infinita verso cui veicolare il proprio messaggio. E il messaggio è chiaro: si può fare un danno enorme, pur non essendo preparati come un agente delle forze speciali.
Se per la gran parte della gente sana determinati spettacoli non smuovono nulla se non sdegno, per una piccolissima parte, malata, potrebbero tradursi in un modo semplice quanto definitivo per ottenere il giusto riconoscimento in una società che non li merita.
Ecco che allora il fatto di constatare con mano quanto un signor nessuno abbia fatto parlare di sé e del proprio disagio a seguito di una strage compiuta in modo efferato e spettacolare, può diventare la exit-strategy attesa da una vita monotona, insoddisfacente o semplicemente malata.
Inutile dire che con questo non si vuole incolpare la stampa di tutto il mondo per istigazione a delinquere, ma la comunicazione è importante, perché trasmette notizie e allo stesso tempo modelli.
Perdonerete il parallelo poco nobile, ma può essere utile per spiegare il concetto. L’immensa notorietà che ha trovato l’applicazione Pokemon Go in queste ultime settimane, nonostante i giudizi fossero stati tutto fuorché positivi, è un esempio calzante di come involontariamente i media possano veicolare l’attenzione del pubblico con effetti, a volte, contrari a quelli desiderati. Di fatto, a fronte di molti che hanno criticato la pratica di cercare pupazzetti in giro per il mondo, altri hanno deciso di scaricare il gioco con buona pace dei giornalisti che intendevano probabilmente ridicolizzare la moda.
Considerando quanto la propaganda social abbia fatto per innalzare agli onori delle cronache la causa dell’ISIS, si può ben immaginare come la notorietà derivante da approfondimenti, speciali, interminabili interviste possa comunque essere percepita come una vittoria di chi vorrebbe la nostra vita sconvolta e piegata ad un continuo stato di terrore.
L’informazione è essenziale e tale deve rimanere, ma i continui salotti televisivi, gli storici che spiegano le colpe dell’occidente, i politologi che analizzano le origini del fenomeno, i sociologi che descrivono gli ambienti da cui provengono, possono tranquillamente prendersi una vacanza o saltare un paio di turni se non emergono nuovi elementi che ne giustifichino la presenza.
Dopo la dovuta copertura, che queste notizie riempiano le cronache nere ma lascino le prime pagine dei giornali o il prime-time televisivo, evitando così la spettacolarizzazione a volte eccessiva di una tragedia che diventa show.
Luca Arleo
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