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Feb 09, 2020 Consiglio di Lettura, Le rubriche di flip
Foto di Alessandto Meoli per FlipMagazine
“Non tutto ciò che luccica è oro” ammonisce il detto popolare, ma non sempre è l’oro a luccicare. Con trattamenti galvanici o con ossidazioni forzate, infatti, il prezioso metallo può assumere, almeno sulla sua superficie, l’aspetto del ferro. Basterà ripulirlo delle impurità indotte, fonderlo in nuovi lingotti e potrà circolare di nuovo con tutto il suo luminoso valore. Spesso, però, la circolazione dell’oro è accompagnata da vicende umane che i posteri chiameranno “Storia”.
È questo lo spunto, da cui parte Marco Forneris nel suo ultimo lavoro, L’oro di Baghdad (Sandro Teti Editore, 2019, 16,00 Euro), un romanzo che entra dirompente nella attuale quotidianità, con i suoi personaggi che sembrano strappati dalle cronache geopolitiche dei quotidiani e dei TG, per essere raccontati nella loro umana essenza, prima dei fatti per cui assurgono alla cronaca e alla storia reale di questi giorni.
Il protagonista della vicenda ritorna quel David Faure che aveva già attraversato il primo romanzo di Forneris e che si era divincolato tra i nodi telematici e finanziari che avvolgono il pianeta, incappando casualmente negli occhi di una donna che aveva rimesso in moto la sua anima dopo un dolore profondo. Non tutto si era definitivamente chiuso e, come accade spesso nella vita, le cose non chiuse si ripresentano con una virulenza moltiplicata dal rimuginìo dei giorni. Anima e materia, come sappiamo, si intrecciano in maniera indissolubile a formare la concretezza della vita e delle sue scelte e nulla sembra poter separare ciò che, nel profondo e nell’intangibile, le lega.
Faure, questa volta, si ritrova a dover attraversare il territorio più devastato del pianeta, lo spazio racchiuso tra la capitale irachena, la Sira e il Libano spedito in una missione che, come un piatto a più strati uscito da un forno fumante, nasconde diverse profondità, diverse griglie di lettura, diverse motivazioni del fare. Storie antiche, antichissime e modernissime, si intrecciano con le scelte umane e strategiche dei governanti di quelle terre. Tutte persone, spesso reali, raccontate come probabilmente sono (o erano) nella loro cruda realtà umana, prima che politica, militare o religiosa.
Nel romanzo appaiono, come in una sequela di piani sequenza, i luoghi che assumono, pagina dopo pagina, il sapore di cose conosciute, come “già viste”. Dettagli che tradiscono immagini rimaste impresse nella retina e nei neuroni, e che si stampano negli occhi di chi legge come se il nostro corpo, i nostri occhi, accompagnassero quel viaggio avventuroso e drammatico di David. Accanto a lui, stavolta, c’è una nuova compagna di avventura. Un’altra donna rispetto alla Susan del Nodo di Seta (il romanzo precedente di Forneris). Susan, però, non è dimenticata, né assente. C’è un filo dorato che lega queste due anime, un filo che può, apparentemente assottigliarsi, mai spezzarsi. Aveva scelto di stare lontano dalla donna che lo aveva “risvegliato” dopo la morte della moglie, certo, ma solo per proteggerla.
Jacqueline Chamoun, docente ad Harvard e analista per la CIA del Medio Oriente, non è però una comparsa. Ha salde radici in quelle terre e motivazioni anche personali per affrontare quell’avventura. Sa stare al “suo” posto, ma anche conquistarsene uno da protagonista, con lievità, determinazione e, in alcuni casi, con spietata risolutezza. Una donna che sa ciò che vorrebbe e sa costruirsi le condizioni al contorno necessarie perché ciò che desidera, alla fine, accada.
Nell’avventura compaiono, ed è questa una fortunata scelta di Forneris, personaggi delle cronache che impersonano loro stessi e svolgono parti non secondarie della trama. Nelle pagine del libro, si incontrano personaggi come Bashar al-Assad, Tarek Haziz, George Tenet, Paul Bremer, Maher al-Assad, Khaled al-Assad, Barzan Ibrahim al-Tikriti, Ahmed Chalabi, Samil Basaev, Abu Bakr al-Baghdadi e anche quel Qasem Soleimani, al centro delle ultime cronache per la sua uccisione, alle porte di Baghdad, da parte degli USA.
Il romanzo colloca, attraverso una storia di fantasia, tutti i personaggi nella loro posizione reale, rendendo la storia il susseguirsi di fatti leggibili come in una sequela di notizie quotidiane. A tratti sembra di vedere i titoli dei giornali che, mascherando o addolcendo la realtà, raccontano degli avvenimenti del libro, mascherando le trame più profonde che il lettore ha davanti ai suoi occhi. È una scelta coraggiosa e che dona alle pagine un sapore diverso dal solito, un sapore quasi “fisico”, denso, avvolgente.
L’oro di Baghdad rimane a cavallo di strategie internazionali e geopolitiche con i destini delle persone e delle famiglie. L’intreccio è indelebile e riconoscibile. Gli interessi e i destini dei popoli, in realtà, spesso passano per la volontà di ricchezza o di tutela degli interessi dei propri familiari. Anche David Faure, in fondo, viene risucchiato dentro la scena per i conti in sospeso lasciati aperti dalla storia precedente. La chiusura de Il nodo di seta, infatti, sembrava aver congelato un punto di equilibrio la cui instabilità pesava sulla sua anima e su quella di Susan; la presenza, nella trama degli accadimenti, del mai dimenticato Cardinale dell’Opus Dei, Esteban Barrel, non poteva lasciarlo indifferente: forse i conti con il passato potevano essere saldati.
Ma l’oro, si sa, non ha confini e le tracce dei suoi percorsi ci fanno attraversare non solo il Mediterraneo, ma il cuore stesso dell’Europa. Dietro alle mille analisi, umane e informatiche, necessarie a interpretare il mondo contemporaneo, innervato dei bit che lo accompagnano ossessivamente, rimane la potenza informatica della NetSafe e del suo amico Aaron Singer. L’azienda israeliana di cui David Faure è socio dischiude, al nostro protagonista, le porte, informatiche o meno, che spesso pensiamo impenetrabili. Alla fine, sarà la stessa CIA a dover inseguire la strategia di David e, all’oro di Baghdad, si affiancheranno le vicende della spada di Salah al –Din, il condottiero curdo che divenne sultano d’Egitto, Siria, Yemen e Hijaz, fondando la dinastia degli Ayyubidi.
Sarà per la contaminazione, probabile, dovuta al contatto avuto con la spada, che David Faure, stavolta, deciderà di rischiare di progettare il suo futuro, scegliendo l’amore che lo accompagni per il resto della vita.
Sergio Bellucci
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