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Giu 07, 2018 Cultura, Teatro & Cinema
Negli ultimi cinque anni, almeno, Lo chiamavano Jeeg Robot è il film più potente e importante del cinema italiano.
Come è abitudine di FlipMagazine, abbiamo voluto rivederlo con calma, dopo i meritati clamori iniziali.
Come è noto, fin dalla nostra nascita, accusiamo gli Italiani di essere il popolo con la memoria più corta, sulla faccia della terra. Gli Italiani dimenticano tutto: grandi personaggi, disastri, facce da culo, contaballe, voltagabbana e molto altro. Noi invece desideriamo ricordare e far ricordare e scriviamo molto di ciò che appartiene al passato, lontano e vicino, perché ciò che vale deve rimanere.
Lo chiamavano Jeeg Robot non deve essere dimenticato. E’ un capolavoro del nostro cinema, girato con pochi mezzi e dopo molti no dei produttori.
Ha una forza visiva senza uguali e soprattutto esce dal solito filone della commedia, condita in tutte le salse, che rimane uno dei più vistosi pregi e limiti del cinema made in Italy.
Jeeg di Gabriele Mainetti, già attore e amante della musica, guarda al cinema americano di fantascienza rimanendo però originale, grazie all’ambientazione, in una Roma fotografata con livido realismo, all’interpretazione di tutti gli attori, ottimi, in particolare di Ilenia Pastorelli, Luca Marinelli (è stato poi un calzante Fabrizio De André) e Claudio Santamaria, uno più in parte dell’altro, perfetti nei tempi e nella gestione dei dialoghi, nell’espressività e nella vena drammatica che non abbandona mai l’ironia.
Proprio una bella storia, ben girata e raccontata.
Un film duro, a tratti quasi disturbante, con la nota di folle dolcezza della Pastorelli che, a nostro parere, è perfetta in molti ruoli dal drammatico al brillante e, volendo, potrebbe cimentarsi fuori dal quadro strettamente romano.
Vi consigliamo di vedere il film con calma, ogni sequenza è ben inserita nel contesto, non annoia e si viene conquistati dai continui colpi di scena che Gabriele Mainetti ci offre in tutto il plot.
Mauro Pecchenino
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