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Mag 06, 2021 Lifestyle, Società
Una tra le grandi e carismatiche personalità del secolo scorso è sicuramente Livio Labor. La sua figura è collegata alla storia del movimento cattolico progressista, così come Giorgio La Pira, Giuseppe Lazzati, Giuseppe Dossetti, Don Lorenzo Milani.
Il 10 aprile 1999, il giorno dopo la sua scomparsa, lo storico Nicola Tranfaglia, sul giornale “la Repubblica”, lo ricorda, tra l’altro, come “difensore dei deboli, persona colta e intelligente, che assunse sempre posizioni aperte e favorevoli ai tentativi di sbloccare la nostra democrazia”.
Labor è stato un personaggio dalla straordinaria esperienza. Nasce a Leopoli, oggi grande città dell’Ucraina, dove il padre Marcello, durante la prima guerra mondiale, è tenente medico. Marcello Labor è ricercatore nei settori della tubercolosi e della geriatria, studioso di questioni sociali, educatore e teologo. Ebreo socialista e agnostico, si converte alla fede cattolica insieme alla moglie. Esercita la professione di medico a Pola, dove è ammirato per l’impegno a favore degli ammalati, specialmente quelli più poveri. Alla morte della moglie si fa prete e diventa monsignore, rettore del seminario di Gorizia e parroco della cattedrale di San Giusto, a Trieste. E’ arrestato prima dai nazisti e poi dai comunisti di Tito. Di questo personaggio singolare, me ne ha parlato con ammirazione l’amico Monsignor Lino Lozza, che l’ha conosciuto e frequentato a Trieste. Il primo febbraio 2002 la Santa Sede avvia la procedura di esame verso la santità, per le “virtù eroiche e la fama di santità del Servo di Dio Marcello Labor”. Il 5 giugno 2015 Papa Francesco proclama venerabile monsignor Marcello Labor.
Il padre Marcello sicuramente influisce sulla formazione della personalità e sulle idee del figlio Livio, che si laurea in filosofia all’Università Cattolica di Milano. Poi sceglie di impegnarsi in un’intensa attività di apostolato religioso nelle file della Compagnia di S. Paolo, alla quale appartiene dal 1937 al 1956. A Roma lavora presso l’Istituto cattolico di attività sociali (ICAS), come redattore per le questioni sindacali nel periodico Orientamenti sociali e come organizzatore dei corsi di formazione rivolti ai giovani sindacalisti.
Continua l’impegno sociale e l’apostolato religioso e, non condividendo l’indirizzo impresso all’Azione cattolica da Luigi Gedda, si trasferisce nuovamente a Milano, dove diventa vice presidente delle ACLI milanesi. Nel 1955 si stabilisce definitivamente a Roma, essendo divenuto membro della presidenza nazionale delle ACLI, con l’incarico di responsabile della formazione e, dal 1957, come vicepresidente centrale. Nel 1961 diventa Presidente Nazionale.
Labor è Presidente delle Acli, dal 1961 al 1969. Sarà ricordato come “Il Presidente” per definizione. E’ questo un periodo di grandi entusiasmi giovanili e di profondi cambiamenti per l’Italia e per la Chiesa. In Italia va spegnendosi la politica di centro sinistra e l’incontro storico tra democristiani e socialisti. Vi sono travolgenti fenomeni di massa, caratterizzati dalla contestazione studentesca del 1968 e dell’autunno caldo operaio del 1969. Nella Chiesa e nel mondo, il Concilio Vaticano Secondo, voluto fortemente da Papa Giovanni XXIII, determina nuove prospettive nell’impegno religioso e civile. E’ in questo periodo che Labor porta progressivamente le Acli all’indipendenza e all’autonomia dalla Democrazia Cristiana, ponendo fine al cosiddetto “collateralismo”.
Le Acli sono nate, infatti, nell’ambito della Chiesa Cattolica, mentre è in atto la costituzione di un sindacato unitario dei lavoratori, voluto dalle correnti cristiane, socialiste e comuniste (nel 1944 nasce la Confederazione Generale Italiana del lavoro). In questa situazione, sempre nel 1944, sono create le ACLI (Associazione Cristiane dei Lavoratori Italiani). Lo scopo dell’Associazione è di formare alla dottrina sociale cristiana i lavoratori cattolici. Le idee fondamentali sono quelle mutuate dalle encicliche “Rerum Novarum” di Leone XIII, della “Singulari Quadam” di Pio X e della “Quadrigesimo Anno” di Pio XI.
Negli anni Cinquanta le Acli pongono l’innovativo problema della partecipazione attiva dei lavoratori alla vita e alle decisioni delle aziende e molti attivisti s’impegnano direttamente nella CISL, il sindacato filo – democristiano, sorto in seguito alla separazione dalla CGIL. Tuttavia, le Acli sono ancora legate alla Democrazia Cristiana e appoggiano sempre i governi presieduti da esponenti democristiani.
Nei primi anni Sessanta, però, guardano sempre più a sinistra, un atteggiamento stigmatizzato dai Vescovi italiani. Nel 1961 il nuovo Presidente nazionale, Livio Labor, imprime una decisa svolta progressista all’Associazione. Stimola posizioni avanzate nella D. C. e nella CISL, invita all’incontro storico con i socialisti, fa partecipare l’Associazione all’elaborazione della programmazione economica democratica (realizzata dal ministro Ezio Vanoni), spinge la politica verso l’attuazione dell’ordinamento regionale, si batte per lo sviluppo democratico della scuola italiana (ancora molto autoritaria e discriminante) e per la costruzione di un’Europa dei popoli, oltre a perseguire l’impegno per un ritorno all’unità sindacale.
Labor, instancabile, dà impulso alla formazione dei quadri e dei lavoratori, stimola la costituzione di cooperative agricole, produttive ed edilizie. Negli anni della contestazione e delle lotte sociali le Acli sviluppano maggiormente una sensibilità anticapitalistica e classista, in difesa degli ultimi e delle persone più deboli. E’ una grande fase di trasformazione quella degli anni Sessanta del secolo scorso, del Concilio Vaticano II, di Giovanni XXIII, di Kennedy e Krusciov, delle inquietudini che attraversano, sia l’Occidente capitalista, sia l’Oriente comunista, dei Governi di centrosinistra guidati da Aldo Moro, del risveglio dei popoli del Terzo Mondo, della nascita della contestazione ecclesiale, delle lotte studentesche ed operaie. Le Acli di Labor possono contare in Parlamento su una quarantina di deputati, oltre al Ministro Giulio Pastore.
In questa situazione, Labor porta le Acli ad un Congresso “storico”. A Torino, nel 1969, infatti, l’Associazione dichiara finito il “collateralismo” con la Democrazia Cristiana e proclama che gli aclisti, ma in generale tutti i cattolici, devono essere liberi di votare e militare in altri partiti. La Conferenza Episcopale Italiana e la Santa Sede sono contrarie e cercano di ostacolare in ogni modo queste posizioni. Labor però, al Congresso aclista di Torino, ottiene oltre il novanta per cento dei voti favorevoli alle sue tesi. (Continua…)
Carlo Bolognesi
Sociologo
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