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Ott 11, 2016 Attualità
Roma, il corrispondente
Ci sarebbe da ridere se non fosse così serio l’argomento. Uscito da poco uno studio sulle ipotetiche prospettive che i ricercatori in Italia hanno di poter fare carriera.
Non sono allarmanti i dati. Perché l’allarme solitamente suona per evitare un disastro. In questo caso, è semplicemente troppo tardi. Quelle che sentiamo sono le campane a morte, il de profundis, il silenzio che i militari suonano quando tutto si ferma.
Per chi ha un minimo di conoscenza dell’argomento, lo studio non aggiunge né toglie all’ovvio.
In Italia ci sono un numero impressionante di persone qualificate – non li definiamo ragazzi perché il termine potrebbe far pensare che hanno molto tempo davanti e quindi fuorviare dalla gravità e dall’incombenza del problema – che in maniera palese non possono aspirare a nulla se non alle briciole.
Molti hanno concluso a pieni voti i propri studi, altri hanno impiegato più tempo, ma in ogni caso sono la classe su cui un paese dovrebbe investire. La generazione che oggi ha 40 anni è cresciuta con l’idea che il pezzo di carta avrebbe aperto la strada per la felicità e la ricchezza, oggi il rischio è esattamente il contrario.
In molti casi queste persone svolgono lavori qualificati, dottorati di ricerca, insegnamenti, stage, pagati pochissimo, quando pagati.
Dottorati senza borsa, stage non retribuiti o docenze sporadiche e sotto remunerate, con punte che raggiungono lo scandalo: titolari di insegnamento universitario che percepiscono 1.000 Euro all’anno (lordi)!
Ci sono casi in cui professionisti preparati e competenti nei loro settori non possono nemmeno pagarsi un affitto, che restituisca un minimo di ricompensa dopo anni di impegno, nonostante pubblichino studi e ricerche che raccolgono consensi e attenzione da parte degli addetti ai lavori.
Il rischio non è che questi ragazzi vadano via, ma che non lo facciano.
Che non abbiano gli strumenti per farlo.
Senza inutile populismo, in Italia si dibatte su Jobs Act e supposte ripercussioni, si parla del ponte sullo stretto come fosse di vitale importanza per la ripartenza del Paese e non si investe in nulla che possa garantire un’inversione di tendenza reale. Non è semplice, ma se lo fosse chi di dovere non sarebbe lautamente pagato per trovare soluzioni a problemi evidentemente complessi e variegati, che non sa trovare.
Chiunque giri un minimo non il mondo ma l’Europa, che dovrebbe essere il giardino di casa di ognuno dei paesi membri, non può fare a meno di notare la mancanza di prospettive che caratterizza oggi il panorama italiano.
Il problema non è solo relativo ai dottorati di ricerca o alle università, ma è generalizzato a tuti gli ambiti lavorativi.
Se la carriera accademica è funestata da nepotismo vergognosi e scarsità di investimenti, il mondo del lavoro non sta meglio.
Caso reale e quindi utile all’esempio. Un curriculum della stessa persona inviato ad un numero consistente di aziende e agenzie di lavoro in Italia non ha prodotto nulla se non, nel migliore dei casi, delle scuse per la momentanea impossibilità ad assumere. A Malta (non New York), spedito alle 16 di un ipotetico oggi ad una singola agenzia, si è risolto in un appuntamento per due giorni dopo. Considerando il tempo necessario al viaggio che lo stesso addetto ha calcolato, significa che in altre condizioni sarebbe stato per il giorno dopo.
Oggi in Italia non vuole andare via soltanto il giovane neolaureato, ma intere famiglie. Il cv in questione appartiene ad una donna 40enne, bi-laureata, con figli e marito.
Renzi blaterone dice che non ci si deve accontentare della crescita del PIL dell’1%, ma la verità è che un dato del genere non significa nulla per chi deve cercare lavoro. Mancano le condizioni affinché l’Italia diventi a livello fiscale e legislativo un Paese interessante per le aziende straniere.
Se non si corre subito ai ripari, fra poco gli studi certificheranno soltanto che non ci sono più i numeri necessari di soggetti utili su cui fare le indagini di settore. L’Italia rischia di diventare un Paese ancora più anziano di quanto già non sia. Una vecchia signora che racconta i fasti dei tempi andati.
Luca Arleo
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