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Nov 22, 2019 Lifestyle, Società
È fresco di stampa l’ultimo libro pubblicato da Sergio Bellucci, scrittore e giornalista. “L’industria dei sensi”, edito da Harpo, è il terzo di una triade iniziata nel 2005 con “E-work. Lavoro, rete e innovazione” e proseguita nel 2009 con “Lo Spettro del capitale. Per una critica dell’economia della conoscenza”, di cui Marcello Cini è stato coautore.
“L’industria dei sensi” è un volume che si concentra tanto sulla sintesi dei passaggi cruciali della storia del capitalismo quanto sui possibili correttivi da integrare in una concreta progettualità politica.
L’Autore, infatti, da acuto intellettuale militante, suggerisce mezzi e fini per affrontare al meglio il capitalismo cognitivo. Molto attento alle tecnologie della comunicazione, Bellucci suggerisce il superamento della dicotomia tra apocalittici e integrati, ancora centrale nel dibattito contemporaneo, grazie a un atteggiamento critico caratterizzato da comprensione, consapevolezza e autonomia. Quindi né apocalittici, né integrati – è la tesi di Bellucci – ma capaci di “schierarsi, in maniera intelligente, nello scontro tra gli apparati potenti dell’industria di senso e le potenzialità critiche che si aprono e si sperimentano nella società, facendo assumere a tale capacità la dimensione politica generale che racchiude”.
L’analisi della forte discontinuità causata dall’emergere del capitalismo 4.0 è preceduta da un excursus storico volto a ricostruire criticamente il ruolo delle tecnologie della comunicazione nella storia umana, partendo dal passaggio dalla scrittura alla stampa, fino al web, passando per la cinematografia e la TV commerciale. Il questo itinerario storico, si chiarisce la nascita dell’industria di senso a seguito della crisi del ‘29, uno shock economico potentissimo che si inseriva in un contesto – quello americano – in cui la carta stampata era diventata lo strumento politico per eccellenza della costruzione del consenso. L’economia statunitense, in crisi di sovrapproduzione, necessitava di vie d’uscita capaci di risollevare non solo la Borsa, ma anche l’industria e i consumi. La crisi del ’29 fu una cesura di grande portata storica che comportò un cambiamento del paradigma economico.
Le teorie keynesiane contribuirono al superamento della crisi spostando il focus sulla domanda macroeconomica di beni e di conseguenza sui consumi. I consumi di massa furono agevolati anche dal marketing, grazie al quale emerse il primo nocciolo dell’Industria del senso.
La transizione dall’industria del senso a quella dei sensi, definita capitalismo 4.0, si concretizza, secondo Bellucci, con l’emergere delle tecnologie digitali, che creano specifiche interfacce per soddisfare ogni singolo senso. Secondo la personale lettura dei fatti compiuta da Bellucci, il risultato dell’industria dei sensi è un capitalismo fortemente condizionato, in cui il senso della vita non si costruisce più attraverso relazioni maturate in seno a scuola, famiglia oppure partiti e sindacati, ma quasi esclusivamente all’interno del sistema mediatico. Si può uscire da questa morsa, secondo la visione di Bellucci, soltanto attraverso un nuovo modello di stato sociale, definito welfare delle relazioni.
Il testo, molto interessante per le conclusioni e rigoroso nei contenuti, si colloca all’interno della tradizione marxista e gramsciana ed è paragonabile, come sostiene nella Prefazione Alberto Abruzzese, a un diario di un militante di sinistra; “un saggio sul tempo presente di un capitalismo storico – aggiunge il noto sociologo – che fa sempre più da spettatore del proprio naufragio e insieme del suo delirio di potenza con altri mezzi e persino per altri fini”.
Angelina Marcelli
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