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Dic 10, 2015 Attualità, Italia
Roma, dal corrispondente
Le analisi comparse all’indomani della vittoria del Front National sono preoccupanti più della vittoria in sé.
Sono anni che la formazione guidata da Marie Le Pen continua a crescere e ora, dopo l’ennesima dimostrazione, una testata apostrofa l’evento come uno “choc”.
Che ci siano effettivamente segnali da tenere in considerazione è chiaro, ma lo sono oggi come lo furono quando le destre del continente esplosero nelle ultime elezioni europee; e rappresentano un aspetto importante nella misura in cui esprimono un dato politico e non una minaccia alla democrazia comunitaria.
La Germania, la Francia, l’Ungheria, nel 2014 votarono mettendo a nudo una parte di società che si pensava totalmente irrilevante e al massimo folkloristica – nel senso negativo del termine – ma d’improvviso scoprirono come sentimenti quali razzismo ed antieuropeismo albergassero in un numero di cittadini ben maggiore di quanto si potesse sospettare.
Con il voto alle regionali francesi di pochi giorni fa si ritorna sugli stessi temi – questa volta esasperati da due attentati nel 2015 – e ad una serie di problemi sempre collegati ad immigrazione e terrorismo, che hanno concorso ad alzare il clima politico attorno all’argomento. Laura Boldrini ha dichiarato in tono vagamente apocalittico – “Stando fermi si fa un favore a chi vuole disgregare l’Ue e ciò che abbiamo ottenuto in questi 60 anni” quasi a voler sminuire il voto di quanti liberamente hanno scelto di non credere nell’Unione così com’è, preferendo un nazionalismo meno ecumenico ma sicuramente più comprensibile.
A stupire, quindi, non sono i risultati ma coloro che oggi se ne stupiscono.
Il problema reale sta nelle conseguenze che un risultato del genere potrebbe procurare. Il giorno dopo i fatti del 13 novembre, il Presidente francese ha annunciato l’inasprimento dei raid aerei sulle postazioni dello stato islamico, e così tutti i leader europei che in maniera diversa hanno garantito impegno e sostegno a Parigi nella lotta al terrorismo. Questo sostegno si è risolto nella grande maggioranza dei casi, difatti, in un contributo militare alle operazioni francesi, che difficilmente avranno serie ripercussioni sulla lotta al terrorismo e ancora meno risolveranno il vero problema con il quale l’Europa deve combattere: i folli imbevuti di cretinate in salsa islamica che ci troviamo in casa.
Il fatto è che la reazione istintiva di Hollande, al contrario, ricorda molto da vicino quella presa all’indomani del crollo delle Torri Gemelle, e come allora i dubbi su un’effettiva utilità di un approccio così poco ragionato sono tutti lì in bella mostra. Una decisione del genere però, secondo gli analisti, ha permesso all’inquilino dell’Eliseo di minimizzare i danni in questa tornata elettorale e di attestarsi su una percentuale insperata fino a pochi giorni prima. Utile quindi alla politica ma inutile alla causa principale.
La domanda che sorge quasi spontanea è: dove siamo stati noi – intesi come coalizione – fino a questo momento? Si legge di un intensificarsi dei raid, di un maggiore impegno di mezzi, di un attacco ai siti di raccolta del petrolio dell’ISIS o di una risoluzione per bloccare i fondi allo stato islamico. Tutte misure forse non condivisibili ma quantomeno logiche. Messe in atto, però, dopo un anno e mezzo dalla proclamazione del califfato; periodo durante il quale DAESH ha potuto commerciare liberamente – tra l’altro – opere d’arte e petrolio sul mercato nero. Serviva un attentato per capire la portata della minaccia? Oggi una reazione del genere – oltretutto senza impegno di militari sul campo né consenso su cosa fare della Siria una volta estirpata la minaccia di Al Baghdadi – rischia solamente di provocare altri danni collaterali e dimostra quanto il pericolo fosse stato sottovalutato.
Luca Arleo
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