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Apr 04, 2011 Attualità, Italia
Le aziende italiane non sono in grado di competere con i costi del lavoro molto bassi dei Paesi orientali o dell’Europa dell’Est. I processi di globalizzazione in corso hanno reso infatti i mercati più aperti e competitivi. Inoltre, la crescente tendenza verso la concentrazione industriale tende a favorire i gruppi industriali di grandi dimensioni e con maggiori risorse a disposizione. Gruppi rispetto ai quali anche i nostri distretti industriali, comunque meno potenti, evidenziano numerose difficoltà. Il made in Italy dunque si trova a dover affrontare nuove importanti sfide. E la sua risposta non può che essere basata sulla costruzione di barriere simboliche in grado di attribuire valore ai prodotti, i quali vengono in tal modo tolti da un terreno di competizione sul prezzo che è estremamente rischioso.
Per costruire delle barriere di tipo simbolico, fattori come la qualità e l’innovazione si collocano senz’altro al primissimo posto. L’Italia può ritagliarsi cioè uno spazio specifico basato su produzioni complesse e caratterizzate da varietà, variabilità e indeterminazione e hanno bisogno pertanto di un lavoro creativo, risorse e strutture flessibili e ampie reti di relazioni, di competenze, di conoscenza dei mercati.
Si tratta però di una strada lastricata di difficoltà, a cominciare dal fatto che un prodotto può ricevere degli effetti negativi da un peggioramento dell’immagine del suo Paese. E questo è senz’altro il caso dell’Italia, che da diversi anni è entrata in una condizione di lento declino. Si pensi soltanto che oggi, nonostante il suo primato indiscusso per quanto riguarda la quantità di bellezze artistiche e naturali possedute, è al quarto posto tra i Paesi più visitati al mondo, dopo essere stata in passato per lungo tempo al primo. È ovvio che anche l’immagine dei prodotti italiani possa risentire di questa situazione. Un’indagine condotta qualche anno fa dalla società Eurisko ha mostrato come in Europa i prodotti italiani vengano «giudicati innovativi e di bel design ma scarsamente affidabili e tecnologicamente poco avanzati». Vengono infatti trasferiti sui prodotti quei tratti critici che sono associati agli italiani: poco affidabili, scarsamente efficienti e poco rispettosi delle norme e delle regole.
Rispetto a questo problema si può oggettivamente fare poco. Le variabili che incidono sull’immagine di un Paese sono troppo complesse e sfuggono necessariamente al controllo di chi cerca di gestire tali marche. E comunque per poterlo fare occorrerebbe una politica forte ed efficiente. La quale oggi non è certamente rintracciabile nelle attuali democrazie occidentali.
È possibile però esercitare un’incisiva azione di tutela dei prodotti italiani, ad esempio, dal punto di vista dei controlli contro la contraffazione. Ma anche per cercare di difendere i nostri prodotti dalla concorrenza sleale e da quella sottocosto e per fare ridurre o eliminare gli elevati dazi che è necessario pagare in molti Paesi emergenti. Si può inoltre intervenire anche cercando di affrontare aspetti critici come la produttività del lavoro delle imprese straniere operanti in Italia, che è superiore del 50% rispetto alle aziende italiane.
Vanni Codeluppi
Docente Università di Modena e Reggio Emilia
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