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Apr 01, 2019 Attualità, World Wide
Inforco degli occhiali che aumentano la mia ipermetropia congenita. Il mondo, improvvisamente rallenta. Gli accadimenti che colpiscono il cuore e il cervello divengono piccoli elementi di una storia umana che ha complessità e urgenze ben più grandi e importanti, che è attraversata da dinamiche profonde i cui esiti possono essere messi in discussione solo da scelte coraggiose e lungimiranti. Esiti e dinamiche che sono, in realtà, le vere motivazioni di quei piccoli accadimenti “a cui siamo interessati” e alle cui radici, vere, nessuno sembra più interessato.
Sembra che nessuno sia più in grado di fare semplici operazioni, che sappia mettere in fila le cause con gli effetti.
Il giornalismo, che dovrebbe rappresentare quella funzione di messa a fuoco degli accadimenti e delle loro connessioni, si concentra spesso sugli accadimenti e sulle interpretazioni che possano strappare solo qualche lettore in più, possano accaparrarsi il bene prezioso del tempo delle persone, delle loro attenzioni per rivenderle sul mercato della pubblicità come cosa loro. Il criterio di “notiziabilità” non segue più una idea, un pensiero, una posizione, ma utilizza le pulsioni stimolabili nel corpo sociale per commercializzare gli utenti, i lettori, i contatti, i follower nel grande mercato della pubblicità che serve a “montare la panna del consumo”. Questo oggi vale per ogni accadimento, cronaca, politica, guerra, manifestazioni, omicidi, tutto tende ad essere ingoiato dal meccanismo del marketing. E tutto viene trasformato in un problema di comunicazione. In politica non esistono più analisi errate, politiche di parte o di classe che distruggono insediamenti sociali o riferimenti culturali. Se un partito perde voti è perché ha sbagliato a comunicare, non perché ha smarrito il proprio sentiero, la ragione dell’essere parte e collocarsi da quella parte.
Chiaro che, allora, uno si ferma e si pone una domanda: a cosa dovrebbe servire la politica, oggi? Perché i partiti si dividono sempre e sostanzialmente sul chi deve governare e non sul dove andare? Perché, ad esempio, dovrei andare a votare per le primarie di un partito che non è il mio? Soprattutto dopo che il sistema elettorale ha archiviato il sistema maggioritario? Perché questa massiccia offerta di para-informazione non riesce a distogliere lo sguardo dai micro-eventi e non si applica mai alle necessarie connessioni e relazioni che esistono tra il fare umano e il suo destino? Possibile che non ci sia spazio per capire dove stiamo portando il mondo anche con le nostre piccole vite quotidiane? Quanto siano contraddittorie politiche che, da un lato bramano l’aumento dei consumi, attraverso una agognata ripresa economica e che dovrebbe passare attraverso l’estensione di una forma di lavoro sfruttato come quello salariato, e dall’altra tentano accordi, vani, sul contenimento delle emissioni di anidride carbonica che dovrebbero salvare l’umanità dal disastro generale e da una possibile fine della sua storia?
O è voluto, questo sguardo miope, perché attraverso esso si impedisce alle persone di prendere coscienza di quale viaggio stanno percorrendo con i loro passi quotidiani? E di come oggi siano possibili esiti e organizzazioni diverse del fare umano?
Si può far finta di rispondere a quelle micro urgenze, a quei micro accadimenti – tanto urgenti, impellenti e improcrastinabili da essere dimenticati e cancellati in un battibaleno, seppelliti da un’altra valanga di micro urgenze e accadimenti – con risposte, anche apparentemente radicali, ma che lasciano in piedi il meccanismo che ha creato il problema al quale, si dice, si vorrebbe dare una risposta. Ci vorrebbe la semplicità di un bambino con i suoi: “E perché?”.
Ora l’umanità è giunta ad un bivio. Sarebbe troppo lungo (ma semplice) elencare tutti i fattori che rendono questo modello di vita, questo modello economico (e la sua iniqua distribuzione delle risorse), questo meccanismo di produzione di senso della vita, di cultura, di prassi (avrebbe detto il teorico italiano…), incompatibile con se stesso, con la prosecuzione della stessa vita su questo pianeta.
Il polo Nord con temperature estive durante l’inverno, l’Antartide che questo inverno non ha sviluppato la “polinia”, cioè una zona di acqua libera dai ghiacci più vicina al continente, circondata da una cintura di ghiaccio larga decine di chilometri. Minacce di interruzione della corrente del Golfo che garantisce al Nord Europa di tenersi fuori dai ghiacci. Tasso di acidità degli oceani che mette in discussione la vita nei mari e la presenza nel circuito delle acque del mondo di micro-particelle di plastica, frutto di soli 50 anni di produzione industriale delle plastiche. Pesticidi, veleni e inquinamenti delle falde acquifere. Introduzione di piante geneticamente modificate esterne all’evoluzione del pianeta e ai suoi equilibri, riduzione degli insetti per l’impollinazione al punto di assistere allo sviluppo di industrie che stanno organizzando l’introduzione di micro-robot per la loro sostituzione. Industrializzazione di tutto il vivente e di tutti gli spazi, eliminando la capacità del pianeta di produrre un equilibrio. Una cosiddetta impronta umana che brucia più risorse rinnovabili di quelle che la Terra riesce a riprodurre. (Continua…)
Sergio Bellucci
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