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Mar 11, 2019 Cultura, Teatro & Cinema
Lucia Sardo e Luigi Tabita in scena. Foto da Ufficio Stampa NCmedia
Dal 12 al 17 marzo, in prima nazionale, al Teatro Piccolo Bellini di Napoli “ andrà in scena La rondine (La canzone di Marta)”. Lo spettacolo, diretto dal regista Francesco Randazzo, sarà poi ospitato dal 19 al 24 marzo al Teatro Stabile di Trieste, dal 26 al 28 marzo al CTB Teatro Stabile di Brescia, dal 3 al 14 aprile al Teatro Stabile di Palermo e dal 23 al 28 al Teatro Stabile di Catania.
Il testo di Guillem Clua ha come protagonisti Marta, maestra di canto interpretata dalla sensibile e grandissima Lucia Sardo, e Matteo, un giovane determinato a prendere lezioni di canto. Nell’intreccio della vita di questi personaggi emergono conflitti, ma anche tanta umanità.
Dialoghiamo su questi temi con Luigi Tabita, giovane attore siciliano che FlipMagazine segue da qualche tempo e che a teatro darà vita a Matteo.
Luigi, partiamo dallo sfondo: la strage di Orlando, un attacco terroristico avvenuto negli Stati Uniti il 26 giugno del 2016 al Pulse, un night club frequentato prevalentemente da omosessuali, nel quale morirono 49 persone per mano di un fanatico musulmano.
Avere sullo sfondo la strage di Orlando significa prendere di mira il problema dell’intolleranza, un tema scottante e di grande attualità. Non è ancora chiaro se la matrice dell’attentato sia stata xenofobica o omofobica, ma forse si tratta di un atto terroristico dimenticato troppo in fretta, in parte perché ci sono stati altri episodi a richiamare l’opinione pubblica- penso al Bataclán di Parigi, al lungomare di Nizza, alle Ramblas di Barcellona – in parte perché ha interessato una minoranza, quella degli omosessuali. In questo si può intravedere quasi una discriminazione anche nella disgrazia, come se il bersaglio dell’omosessualità rendesse la strage meno grave e in fondo anche più comprensibile.
Il testo che porterete in scena ci presenta due personaggi con le loro storie. Qual è il modo migliore per preparare gli spettatori alla visione di questo spettacolo?
Sicuramente riflettere sul valore della parola. C’è un dilagare di violenza che parte proprio dalle parole. Mi piace citare Alma Sabatini, una straordinaria saggista, che afferma che “le parole restituiscono e contemporaneamente impongono una visione del mondo”. Il nostro, è uno spettacolo che gioca molto sulle parole. L’autore, Guillem Clua, è uno straordinario drammaturgo e autore televisivo catalano che ha fatto un lavoro certosino sull’uso delle parole. La sua forza è quella di far arrivare il messaggio allo spettatore parlando, emozionando, usando colpi di scena che rendono lo spettacolo molto dinamico.
Proviamo ad anticipare qualcosa della storia e a capire quale possa essere il messaggio forte su cui si regge “La rondine”.
L’inizio della storia è l’incontro tra Marta e Matteo. Marta è una musicista, maestra di canto e madre di un ragazzo rimasto vittima della strage. Matteo si presenta a lei con l’espediente di voler fare delle lezioni per cantare ad una commemorazione per sua madre, scomparsa di recente. Si tratta in realtà di una bugia; il suo obiettivo, in fondo, è un altro. La spina dorsale dello spettacolo è un interrogativo che a un certo punto si pone Marta: Cosa ci rende umani? Il messaggio dell’Autore è chiaro. Si tratta di una visione empatica di condivisione del dolore, per cui ciò che ci rende umani è il sentire proprio il dolore degli altri.
Si intuisce che Marta e Matteo siano accomunati da almeno due cose: il dolore e la musica. Partiamo dal dolore. Qual è la ragione del loro dolore e come lo metabolizzano?
Matteo è un sopravvissuto. La strage gli ha lasciato cicatrici profonde, sia in senso fisico, perché uno sparo gli ha raggiunto un polmone, sia in senso metaforico. Il giovane, infatti, rimane intimamente segnato perché ha assistito a un massacro nel quale ha visto perire le persone ad una ad una per mano di uno squilibrato, ma soprattutto porta il segno del sacrificio compiuto dal suo compagno, Dani, che è stato raggiunto dal colpo mortale indirizzato a lui. Anche il dolore di Marta è molto forte perché all’assurdità della causa della morte aggiunge la rabbia della non accettazione dell’omosessualità del figlio.
Omosessualità e famiglia, un tema decisamente delicato. Come viene declinato all’interno dello spettacolo?
L’Autore ci pone due esempi emblematici. Matteo è – se vogliamo – un omosessuale fortunato. Il mio personaggio, infatti, è un ragazzo cosmopolita, ha studiato e ha girato il mondo, ma soprattutto vive all’interno di una famiglia numerosa che ha accettato con amore la sua omosessualità. All’opposto, ci viene presentata la condizione molto più triste di Dani, che non aveva voluto svelare la sua omosessualità ai suoi familiari sapendo che non l’avrebbero capito e accettato. Io vorrei che la gente riflettesse su quanto sia difficile fare coming out e su quanto grave sia la discriminazione nei confronti dei gay. Lo faccio con un esempio. Un ragazzo di colore discriminato può subire ogni sorta di offesa e di violenza. Alla base c’è che il colore della sua pelle delude le aspettative della società, che ci vorrebbe tutti bianchi e con i tratti delicati. Ma quando il ragazzo di colore torna a casa, trova una famiglia che comprende la discriminazione e riesce quindi a fornire gli strumenti necessari per affrontare le difficoltà. Un omosessuale non tradisce soltanto le aspettative della società, ma anche le aspettative della famiglia, che non sa neanche cosa voglia dire subire questo tipo di discriminazione e non sa consigliare come comportarsi. Lo dico da attivista, alla base di molti episodi di suicidio di giovani omosessuali c’è proprio la mancata accettazione da parte della famiglia. Invece i figli devono essere accolti e amati, come accade a Matteo.
Veniamo ora al secondo punto di incontro tra Marta e Matteo, la musica.
La musica è il terzo personaggio dello spettacolo. “La rondine” è il titolo di una canzone che possiede una forte carica emotiva sia per Marta, sia per Matteo. Il testo di questa storia, come dicevo, è caratterizzato da una dialettica esplosiva, perché i personaggi sono metafore di due punti di vista contrapposti, sempre in bilico tra odio e amore. Da una parte, una visione chiusa, arroccata sulle proprie convinzioni e dall’altra un approccio più moderno, aperto e cosmopolita. Alla fine sarà la musica con la sua forza straordinaria e con il suo linguaggio universale a spingere il dolore di entrambi nella direzione dell’amore e della pace.
Una storia molto interessante. Nel salutarci, proviamo a ritornare alla realtà. Si guardi attorno e mi dica: Siamo umani?
Lo siamo, ma a volte dimentichiamo di essere umani. Credo che l’utilizzo sbagliato della tecnologia ci stia portando a rapporti disumani. Prendiamo ad esempio i social. Sui social raccontiamo vite che non sono quelle reali, costruiamo reputazioni che non hanno fondamento e perciò non sono ‘umane’. Come possiamo farci carico del dolore degli altri o anche solo semplicemente conoscerci se continuiamo a costruire immagini falsate? Io mi auguro che ciascuno di noi possa davvero ritornare ad essere umano, instaurando rapporti basati sulla verità e sul dialogo.
Angelina Marcelli
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