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Ago 04, 2011 Attualità, Italia
Le società contemporanee sono sempre più invase dai messaggi pubblicitari. Negli Stati Uniti, è stato calcolato che le persone passano mediamente circa tre anni della loro vita a guardare spot televisivi. Eppure, di solito non ci si preoccupa di porre dei limiti alla loro invasione e non si prova nemmeno a cercare di insegnare alle persone a smontarli per individuare i significati da essi prodotti. Poter svolgere questa attività però è fondamentale per chi voglia essere attivo protagonista della realtà in cui vive e non passivo fruitore di ciò che riceve.
Chi intende porsi in un atteggiamento di lettura consapevole dei messaggi pubblicitari deve provare a scomporli nei principali elementi di cui sono costituiti, per arrivare all’individuazione dei più importanti significati da essi prodotti. Deve cioè comprendere, ad esempio, che nei messaggi pubblicitari è presente una raffigurazione della realtà che è estremamente semplificata. In essa, infatti, le persone sono irreali, perché incarnano delle categorie demografiche o dei tipi sociali astratti, anziché degli individui definiti con precisione. La pubblicità, avendo la necessità di comunicare velocemente e attraverso modalità semplici e prive di ambiguità, fa cioè in modo che le espressioni facciali, le pose, i comportamenti e le situazioni reali dei soggetti rappresentati tendano verso un elevato livello di standardizzazione. Crea cioè quel fenomeno che il sociologo americano Erving Goffman ha denominato “iper-ritualizzazione” per indicare che la pubblicità trasforma in stereotipo l’immagine sociale delle persone (soprattutto per ciò che riguarda il loro ruolo sessuale), delle attività e delle situazioni.
Ma è soprattutto attraverso la marca che la pubblicità è in grado di produrre dei modelli di comportamento che possono influenzare le persone. La marca, infatti, è nata per dare un nome e un volto rassicurante agli oggetti prodotti industrialmente, di per sé anonimi e indifferenziati. L’impresa, grazie alla marca, può stabilire una relazione diretta con il consumatore senza doversi impegnare in prima persona.
Ma le marche, per poter ottenere questo risultato, danno vita a un proprio mondo culturale che sviluppano appropriandosi di una porzione della più ampia cultura esistente nella società. Dapprima individuano uno specifico valore sociale, poi utilizzano le diverse forme di comunicazione disponibili, il design degli elementi d’identità visivo – verbali (nome, logo e altri codici della marca), il design del prodotto, l’aspetto dei punti vendita, le iniziative realizzate insieme ad altre marche, i siti attivi su Internet e le persone che operano nell’azienda allo scopo di costruire attorno a tale valore un mondo comunicativo dotato di una precisa identità. E dunque per renderlo appetibile e coinvolgente agli occhi dei consumatori.
Vanni Codeluppi
Docente dell’Università di Modena e Reggio Emilia
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