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Apr 27, 2010 Terza Pagina
Raggiungere il successo non è mai stato il traguardo più importante per Roy Lichtenstein. Certo egli gradiva il riconoscimento e l’apprezzamento della propria opera, ma ciò che lo interessava realmente era la possibilità di occupare, un giorno, un posto all’interno del panorama della storia dell’arte. Possiamo dire con sicurezza che Lichtenstein sia riuscito nel suo intento. È arrivato infatti molto presto per lui il riconoscimento della grandiosità del suo lavoro e l’iscrizione al registro di quella storia dell’arte a cui l’autore deve tanto, poiché spesso l’ha presa in prestito per poi rivoluzionarla e farne qualcosa di assolutamente originale.
Pop Art si pensa subito quando si cita il nome di Lichtenstein; arte popolare sì, ma non arte del popolo o per il popolo bensì, più precisamente, arte di massa, cioè prodotta in serie, e, contemporaneamente il più possibile anonima, così che possa essere compresa ed accettata dal numero maggiore possibile di persone. I suoi lavori infatti guardano agli oggetti, ai miti e ai linguaggi della società dei consumi, al mondo e ai personaggi della pubblicità e del fumetto; l’opera di Lichtenstein parla il linguaggio della Pop Art, ne ricalca lo stile, anche se spesso si contamina con un’arte diversa che entra a pieno titolo nel mondo delle accademie e delle avanguardie culturali. La sua opera infatti è ispirata dalle grandi tele del passato che vengono rivisitate in chiave del tutto nuova. Lichtenstein riprende i meravigliosi soggetti dei lavori moderni europei, e, nel farlo, li astrae completamente da tutto il significato ed il contesto in cui sono inseriti; egli li rielabora adottando uno stile che simula quello meccanico e anonimo della stampa tipografica, cercando così di svuotare l’opera d’arte di tutta la partecipazione emotiva che circondava l’originale fino a renderla il più possibile anonima. Il lavoro di Lichtenstein diviene così un’opera del tutto unica e raggiunge l’obiettivo di superare tutte le possibili iscrizioni alle correnti dell’arte moderna esistenti: siamo di fronte ad un puro esempio di arte postmoderna. È evidente che Lichtenstein non sia un mero imitatore del passato ma piuttosto che insegua la creazione di qualcosa di nuovo e del tutto inaspettato. Lo dimostrano chiaramente le oltre 100 opere tra grandi tele, sculture, disegni e collage che provengono da musei e collezioni private di tutto il mondo e che saranno esposte alla Triennale di Milano fino al 30 maggio 2010. La mostra è suddivisa in sezioni tematiche, indipendentemente dall’evoluzione del lavoro di Lichtenstein a livello cronologico, per far comprendere tutte le diverse sfaccettature che il percorso artistico dell’autore ha attraversato. Si parte dai lavori degli anni ’50, poco conosciuti ed esposti per la prima volta in molti casi. Qui l’artista cercava di unire il linguaggio modernista proveniente dall’Europa, in particolare, gli universi di Paul Klee e di Picasso, con i soggetti tipici della storia e della cultura americana: indiani, far-west, cow-boy e super eroi. È solo negli anni 60’ però, momento d’oro della Pop Art nel mondo, che Lichtenstein definisce il proprio stile e linguaggio pittorico, e inizia la fase della vera e propria rivisitazione di opere celebri di Picasso, Matisse, Monet, Cézanne, Léger, Marc, Mondrian, Dalì, Carrà. Questi lavori dialogano apertamente con tutte le principali correnti che avevano caratterizzato il panorama dell’arte moderna in Europa; ecco allora che vediamo tele che si ispirano al Cubismo, al Modernismo degli anni ’30, all’astrazione minimalista e all’Action Painting. È degli anni ’70 invece l’attenzione dedicata agli Still Life, le celebri nature morte, genere difficile e controverso per Lichtenstein che considerava queste composizioni di scarso interesse. Le serie maggiormente degne di nota risultano quella dedicata alla rivisitazione dell’arte Espressionista vista con gli occhi dell’autore, e i lavori che riprendono il futurismo di Balla e Carrà e del loro interesse per lo studio del movimento come elemento astratto. Da qui si evince che l’attività dell’artista denota passione per lo studio dell’astrazione geometrica e la modularità, per poi concentrarsi sulla produzione di lavori che, sebbene non riproducano nessuna opera in particolare, sono chiaramente ispirati alla pittura surrealista di Ernst, Mirò o Picasso. Decisamente particolare le serie dei Chinese Landscapes ispirata dalla passione di Lichtenstein per la terra e l’arte orientale e che dà un sapore Pop anche alle tradizionali pitture di quelle culture lontane.
La mostra, che si conferma come uno dei più grandi successi per quest’anno, rafforza il ruolo della Triennale come tempio dell’arte Pop a Milano e merita sicuramente una visita accurata.
Barbara Pellegrini
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