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Ott 08, 2015 Attualità, Italia
Eppur si muove. La bicicletta sta diventando un componente stabile della mobilità urbana in Italia.
C’è da fare subito una precisazione: la percezione del fatto cambia notevolmente da città a città ed è abbastanza ovvio che grandi centri quali Roma o Napoli abbiano delle effettive difficoltà dovute al traffico, non propriamente organizzato e ordinato che affolla le strade. Non è un’attenuante ma un dato di fatto. A Roma in particolare, dove forse più che in ogni altra città italiana oggi si respira una sorta di difficoltà dei cittadini ad integrarsi con il tessuto urbano, i disagi per i ciclisti sono di ordine pratico: buche, automobilisti e mancanza di regolamentazione a riguardo.
Ma il dato con cui abbiamo cominciato è oggettivo. Nel 2014 c’è stata una crescita di più del 6% nella vendita di biciclette a livello nazionale, alla quale va affiancata la conta di quanti hanno tirato fuori dalle cantine vecchie Graziella che aumentano il numero dei bikers senza passare per le statistiche.
Bologna sta facendo la parte del leone e dopo aver inaugurato la “Tangenziale delle biciclette” a metà settembre, ha annunciato l’installazione di 2000 parcheggi in rastrelliere per il 2016 e festeggiato l’apertura di un parcheggio custodito, ricavato da una vecchia autorimessa che, per i servizi che offre, si presenta come un vero e proprio polo per tutti i ciclofili. Utile inoltre ricordare che il capoluogo emiliano è il primo in Italia ad aver installato delle pompe pubbliche per gonfiare gli pneumatici durante il tragitto.
Segue Milano, in cui il Bike Sharing presente dal 2008 ha preso piede in maniera stabile e ormai viaggia su numeri importanti, numeri che lasciano ben sperare. E la stessa Napoli, caotica e trafficata, ha da poco terminato (a causa della mancanza di fondi) la sua esperienza più che positiva di noleggio bici condiviso, mostrando un appezzamento da parte dei cittadini, per certi versi insperato.
Nascondersi dietro questi dati non mette al riparo da quanto ancora sia lontano l’approccio italiano se confrontato con quello europeo.
La modifica del codice della strada è il primo passo, affinché alle bici venga riconosciuta pari dignità rispetto a tutti gli altri mezzi di trasporto. Le zone a 30 km/h, prima conseguenza di una legittimazione reale delle due ruote, sono in questo senso una garanzia su cui investire dati gli ottimi risultati ottenuti in diverse città del vecchio continente. Un dato su tutti: Chambery dal momento dell’adozione delle zone30 ha visto il numero di incidenti connessi alla velocità passare da 453 del 1979 a 32 nel 2006. Il dato numerico è impressionante, ma anche quello relativo all’anno lascia pensare.
Londra e Parigi, per togliere subito ossigeno a quanti stanno per dire che l’esempio non è significativo per grandi centri quali Roma, Napoli o Milano, hanno rispettivamente l’11% e il 20% di zone in cui la velocità massima consentita è 30 km/h. La capitale francese si è spinta oltre immettendone anche alcune a 20 km/h.
Un capitolo a parte meritano Copenhagen o Amsterdam che hanno letteralmente “sottomesso” il motore ai pedali. Sono tante e così intelligenti le misure che nel corso degli anni hanno adottato i danesi per rendere più comodo l’utilizzo delle due ruote, che sarebbe quasi oltraggioso volerle riassumere in poche righe. Una per rendere l’idea: in prossimità degli incroci con semafori sono state installate delle ringhiere affinché i ciclisti non debbano scendere dal sellino per sostare in attesa del verde. L a sfida per l’Italia è importante e, il fatto di trovarsi parecchio indietro, non deve scoraggiare dato che i numeri di quanti scelgono la pedalata come mezzo principale di spostamento sono costantemente in aumento anche nel nostro Paese. Prima o poi con la questione dovranno fare i conti anche quanti – primo su tutti il neo assessore alla mobilità di Roma -continuano a mettere la testa sotto la sabbia negando la possibilità di interventi in tal senso.
Luca Arleo
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