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Ott 19, 2010 Terza Pagina
“Surrealismo….surrealismo, quando sono arrivato a New York mi hanno chiesto una definizione di surrealismo….il surrealismo sono io.”
Nulla di più vero in questa affermazione di Salvadòr Dalì, l‘artista forse più rappresentativo del movimento surrealista, che faceva dell’indagine dell’io, dell’esigenza di far emergere i contenuti dell’inconscio e liberare l’immaginazione dal controllo logico e dal senso comune i punti cardine della propria espressione. Il sogno si avvicina è dunque il titolo perfetto per la mostra che riporta l’arte del grande Salvador Dalì a Palazzo Reale a Milano, dopo mezzo secolo di assenza (nel 1954 era stato protagonista di una personale nella sala delle Cariatidi), con 56 opere tra lavori più e meno conosciuti che rimarranno esposti fino al 30 gennaio prossimo.
Protagonista di queste tele è il paesaggio rappresentato da un punto di osservazione che spazia tra il fuori e il dentro di sé. Prima sezione del percorso è chiamata “la memoria” ed è dedicata al rapporto tra l’autore ed il passato, dal momento che mostra la rielaborazione di Dalì della storia dell’arte da cui provengono citazioni curiose del classicismo, come la scultura della Venere di Milo con tiretti dotati di pon pon pelosi, o la rivisitazione dell’opera di Velasquez. La realtà contemporanea tende invece ad emergere con forza nelle opere che appartengono alla sala chiamata “il male”, dove tele come Visage de la guerre costituiscono frequenti riferimenti alle vicende del presente, soprattutto devastanti come quella della guerra, con volti e corpi straziati e dilaniati dallo scorrere degli eventi, immagini tristi e cupe che rievocano terrore, angoscia e morte. Con la “stanza dell’immaginario” si passa poi ad un’analisi del mondo filtrata attraverso l’occhio dell’interiorità, ecco che comincia ad emergere la dimensione onirica e priva di logica che domina l’inconscio umano e che è protagonista nelle opere più propriamente surrealiste dell’autore, dalle Tre età alla Ricerca della quarta dimensione; ma è con la Sala di Mae West, che l’impronta surrealista di Dalì esce più chiaramente allo scoperto. Curata dall’architetto Oscar Tusquets Blanca, che fu co-autore del progetto, e appositamente riallestita per l’esposizione milanese, essa costituisce un progetto ambizioso in cui i lineamenti del volto della modella, si integrano completamente con lo spazio, fino a diventarne elementi che lo compongono e lo caratterizzano: dal divano a forma di labbra, agli occhi che diventano quadri, fino al naso, reso perfetto camino per legna da ardere.
C’è in Dalì una costante tendenza ad alterare la riconoscibilità dell’immagine in una serie di deformazioni che la proiettano in altre dimensioni, a volte mostruose, a volte meravigliose, comunque sempre esasperate. La visione di Dalì dichiara così il suo amore per la vertigine spaziale, per l’ambiguità delle forme, per tutte quelle simbologie che fanno del sogno la vera condizione del linguaggio della pittura e della scultura.
Nella sezione conclusiva chiamata la “stanza del silenzio”, la sperimentazione dell’artista porta alla definitiva scomparsa della figura umana che lascia il posto al trionfo del paesaggio puro come si vede in Crocifisso, I tre gloriosi enigmi di Gala, o Paesaggio con fanciulla che salta la corda. Punto d’arrivo di questa sperimentazione è l’ultimo olio dipinto dall’artista nel 1983, prima della morte, intitolato Il rapimento di Europa, un monocromo azzurro, spaccato da ferite, un esempio di astrazione pura.
La mostra lascia giustamente uno spazio anche al cinema perché il surrealismo trovò nella settima arte una delle sue forme di espressione privilegiate come dimostrano i film di Luis Buñuel, L’age d’or e Un chien andalou, un corto realizzato proprio in collaborazione con lo stesso Dalì. Ma stretto è anche il rapporto con il cinema di animazione: il contributo di Dalì alla produzione disneyana, è proiettato su uno schermo posizionato al centro di una piccola sala e corredato da acquerelli, disegni, olii che provengono dalla Walt Disney Studio’s Animation Research Library. Il corto Destino è una riflessione su richiami classici, memorie rinascimentali, ma anche riferimenti alla pop art; qui le figure hanno un rapporto privilegiato con lo spazio: da questo nascono ed in questo vanno a fondersi trasformandosi di volta in volta in nuove immagini.
Barbara Pellegrini
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One thought on “Il Surrealismo sono io: Salvador Dalì a Milano”