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Gen 27, 2014 Il Posto dove Andare, Le rubriche di flip
Foto archivio FlipMagazine®
Premessa: i Parigini sono tipi un po’ particolari, con un carattere non sempre facile. Quando vanno a pranzo e a cena amano stare tra loro, mangiare i cibi tipici, sono conviviali e sociali, ma tra di loro, con un umorismo che quasi solo loro capiscono e un’aria un po’ branché, al passo coi tempi, un’aria di chi sa, che irrita gli Italiani, sempre sospettosi verso chi non è Italiano. I locali da ristoro: bistrot, brasserie, ristoranti, guinguette, hanno un po’ questo tono. I camerieri sono spesso bruschi, poco affabili, scostanti, quasi indisponenti, a prescindere dal livello del locale. Poi, basta conoscere il francese in maniera commestibile, parlare un po’, farli sentire vicini e tutto cambia. La situazione è questa, o si capisce che non bisogna irrigidirsi ma comunicare, non essere chiusi, oppure è meglio portarsi pasta e pummarola dall’Italia.
Fine della premessa chiarificatrice.
Devo dire che frequento e vivo la Francia da molti anni (son quindi un po’ di parte), sempre a contatto con gli indigeni e a Parigi mi piace stare in zona Gobelins o Saint Michel e, da queste parti, in una traversa di Saint Germain, vicino a Café Fleure e Deux Magots, c’è un locale, Petit Saint Benoit, che in Italia si definirebbe trattoria, aperto dai primi anni del Novecento. Il tempo passa e qui, negli anni degli Esistenzialisti, quando Parigi era la capitale mondiale della cultura (per certi versi, in sedicesimo, lo è ancora) questo bistrot era il punto di ritrovo a cena di nomi universali come Yves Montand, Simone de Beauvoir, Jean Paul Sartre, Boris Vian, Juliette Gréco, Jacques Prévert, Serge Gainsbourg e molti altri. Poi i nomi sono cambiati, così come le gestioni e di recente sono arrivati alcuni giovani , come è giusto che sia. Ma l’atmosfera è la stessa, con le tovaglie datate, l’atmosfera da artista che pensa, la musica che sembra entrare in qualsiasi momento per un concertino improvvisato. Il menu parla di cucina tipica, con lumache sublimi, carne e pesce cotti nelle pentole che ricordano la cucina contadina, la baguette tagliata a tocchi, il vino rosso o rosato che scivola piacevole e riscalda le sere d’inverno. E’ un posto piccolo, con i tavoli vicini e questo è bello per conversare e far amicizia con gli altri commensali. Sembra di esser tutti allo stesso tavolo, come in certe trattorie romane. Si sta bene qui, si chiacchiera, si ragiona e il tempo passa. Poi all’uscita si attraversa la stretta via e proprio di fronte c’è il club jazz Chez Papa e la serata corre ricca di promesse.
Mauro Pecchenino
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