Happy Hour, la solitudine incasinata

Mar 18, 2013 Cosa bolle in Pentola

Continua in Italia la moda delle cosiddette Happy Hour.

Fino a non molti anni fa era un fenomeno milanese (in realtà nato a Genova negli anni Settanta). All’uscita dal lavoro gli abitanti del capoluogo meneghino si riversavano nei bar ad ingozzarsi di schifezze salate, accompagnate da un paio di beveroni. Poi la moda si è espansa ad altre città grandi e piccole e ciascuna ha personalizzato l’offerta. Rimangono i buffet enormi pieni di roba riciclata, unta e super salata per far bere di più, ma arrivano anche le proposte più salutiste e vegetariane. Alcuni arrivano alle personalizzazioni, con piattini ricchi di assaggi, un po’ alla spagnola.

Nelle città più piccole si guarda anche ad un tocco di eleganza nella presentazione. In centri come Firenze, Ravenna, Perugia, Bologna e altri, si cercano anche piccoli contenitori nuovi e personalizzati per offrire tapas che saziano senza bucare il fegato. Anche l’aperitivo (apericena, in qualche regione d’Italia) diventa più salutare e rappresenta sempre di più un’occasione di incontro, anche se, per esempio, nei sempre affollati locali milanesi si fa fatica perfino a scambiare una parola.

La moda rimane però forte: Il bisogno di socialità, anche se rumorosa e incasinata, spinge giovani e meno giovani a invadere questi posti dove, con una media di 8/10 euro, si mangia si beve e si vede gente. L’happy Hour è un segno dei tempi: tutto fa compagnia, in un mondo che dà sempre più spazio alla solitudine “con tanta gente intorno”.

Giorgio Fanti

gfanti@libero.it

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