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Dic 12, 2010 Terza Pagina
Lo scrittore Georges Perec ha documentato nel celebre romanzo Le cose lo choc che è stato determinato negli anni Sessanta dalla abnorme crescita degli oggetti indotta dalla produzione di massa. Ma da allora gli oggetti hanno ulteriormente moltiplicato la loro capacità di comunicare, perché veicolano numerosi significati provenienti soprattutto dal marketing e dalla cultura del consumo. Con il risultato di rendere difficoltoso per le persone orientarsi rispetto ad essi. Vivere nell’ipermodernità vuole dire infatti vivere immersi negli oggetti. E l’arrivo dell’ipermodernità ha portato con sé anche la riduzione della distanza tra i soggetti e gli oggetti. Oggi cioè, gli oggetti ci coinvolgono in profondità.
C’è bisogno dunque di ristabilire nuovamente una distanza tra noi e gli oggetti, quella distanza che ha consentito in passato lo sviluppo di uno sguardo critico. Sono trascorsi poco più di cinquant’anni da quando Roland Barthes ha pubblicato in Francia Miti d’oggi, il volume che ha mostrato come fosse possibile criticare i miti della cultura di massa. Ha mostrato, cioè, che si poteva «demistificare» la cultura piccolo-borghese, ma anche i significati degli oggetti che la caratterizzavano: il vino, il latte, i giocattoli, la Citroën Ds o i detersivi. A dire il vero, prima ancora di Barthes, è stato Marshall McLuhan a mostrare nel volume La sposa meccanica come fosse possibile trattare gli oggetti e i messaggi della cultura di massa esattamente allo stesso modo dei testi letterari e cioè sottoponendoli ad una approfondita analisi critica. Ma ciò che Barthes ha introdotto è stato soprattutto un originale approccio critico, figlio della linguistica sviluppata da Ferdinand de Saussure e dell’analisi marxiana.
L’odierno sistema dell’industria culturale globale si basa però sulle marche più che sugli oggetti. E le marche si caratterizzano per una logica della differenza. Ciascuna marca produce cioè valore soprattutto attraverso la sua capacità di differenziarsi dalle marche concorrenti. Ma è una differenza che non nasce più dal valore economico e dal valore di status, bensì dalle emozioni e dalle esperienze. Emozioni ed esperienze che naturalmente si producono soprattutto nel consumatore e dunque è soprattutto il «lavoro emozionale» di quest’ultimo che consente al sistema economico contemporaneo di ottenere i suoi elevati livelli di sviluppo
Vanni Codeluppi
Docente dell’Università di Modena e Reggio Emilia
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