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Feb 24, 2016 Attualità, Italia
Foto dal sito www.sportlive.it
Roma, dal corrispondente
Non sarà un’apologia né un processo per lesa maestà. Solo una chiacchierata – tra il disincantato e il romantico – attorno ad un uomo e all’annoso problema di invecchiare. Nessuna celebrazione, quindi, ma un’analisi asettica della parabola umana di un giocatore di calcio.
Difficilmente argomenti legati al mondo del pallone trovano spazio su questo magazine e probabilmente continuerà ad essere così, ma Totti – questo il topic – non è un semplice giocatore, questa non sarà un’analisi tecnica della scelta di lasciarlo fuori e l’allenatore non verrà appeso alla gogna.
Se rimandarlo a casa per qualcuno potrebbe sembrare ovvio, soprattutto alla luce del 5 a 0 rifilato al Palermo nella partita in questione e dei quasi 40 anni del capitano giallorosso, il giudizio cambia se analizzato all’ombra del Colosseo. Ed è proprio da lì che quindi bisogna partire per capire meglio il personaggio.
Il tutto ruota attorno ad un assunto – sacro per alcuni romanisti e assolutamente infondato per tutto il resto del mondo – secondo cui a dover decidere come e quando smettere di giocare deve essere solo Totti e lui soltanto. Nessuno si azzarderebbe a chiedere un passo indietro al Papa perché vecchio e stanco; come non usare lo stesso metro con lui che per la Roma ha fatto quello che nemmeno un Papa avrebbe potuto fare? Il rispetto per l’uomo, quindi, prima che per il giocatore contro il pragmatismo che non vede uomo al di fuori del calciatore. Ma Totti non è Del Piero, anche lui gran professionista ma con un’unica sfortuna: non aver giocato sotto il sole caldo della capitale.
Totti nasce della Roma, molto prima che nella Roma divenisse capitano. La sua, profuma di storia da raccontare ai nipoti, di quelle storie da cui la Disney potrebbe facilmente mettere su un Blockbuster con cui far sognare i bambini, tra i pochi che nel calcio ancora riescono a riconoscere quel che c’è di romantico. Perché la storia calcistica di Totti è – e sia chiaro a tutti – principalmente una storia d’amore, tra un ragazzo e la sua città/squadra, tra il sogno e il sognatore.
Della capitale ha incarnato perfettamente l’atteggiamento guascone, la strafottenza mai volgare, la boria distratta dei figli di Roma, e la supponenza di chi si sente immortale al pari di un imperatore perché con lui condivide il ruolo di condottiero. Roma, dal canto suo, lo ha amato incondizionatamente, di quegli amori che reggono agli urti della vita, che traballano e che per questo si scoprono più saldi. Lo ha capito anche quando ha sbagliato e, proteggendolo dalle accuse facili e strumentali, lo ha stretto a sé con più forza.
Roma ha cambiato la sua vita e lui l’ha ricompensata con la merce più preziosa, con quel sentimento raro e quasi estinto, l’unico battito capace di annichilire lo stesso amore di cui pur si nutre: fedeltà eterna.
Ma la fedeltà da sola non sarebbe bastata in un mondo come quello del calcio, non sarebbe stata sufficiente a giustificare una parabola così ardita come quella di Francesco, sempre in bilico tra inferno e paradiso, dato per finito almeno una mezza dozzina di volte e sempre risorto a nuova vita. Alla lealtà serviva qualcosa che giustificasse tanta unicità. E lei, la fedeltà, trovò un alleato supremo in due piccole appendici alla fine delle gambe, quei piedi che di Totti avrebbero fatto un dio al pari di Mercurio. Senza tema di smentita possiamo dire che nel calcio moderno Totti è stato l’unico ad aver messo insieme a tanta classe e visione di gioco, una velocità di pensiero e una capacità realizzativa fuori dal comune. Se di qualcuno si sono contati i gol e di altri gli assist, di Francesco andrebbero contati entrambi e dei secondi la difficoltà realizzativa oltre che la bellezza estetica.
Ma ci stiamo perdendo, avevamo cominciato dicendo che non sarebbe stata una celebrazione ma soltanto una chiacchierata disincantata, e invece eccoci qui a fare un elogio del capitano. Allora tanto vale uscire allo scoperto e dirlo chiaramente: mentivamo. Chi scrive non è un ultrà romanista né un parente del 10 giallorosso, ma un appassionato di calcio che negli anni ha visto sempre più Ibrahimovic e sempre meno Del Piero, troppi Balotelli e pochi Maldini, Spalletti e non Mazzone. Sarà banale dirlo, ma i troppi soldi hanno reso il calcio meno umano; e in un mondo di professionisti, celebrare uno che ha scelto di rinunciare a salire sul tetto del mondo per essere coerente col bambino che era, a nostro modesto parere, è un dovere. Smetterà alla fine di quest’anno? Chissenefrega.
Oggi serviva soltanto ricordare che un uomo come Totti, in questo calcio, va comunque ringraziato.
E se c’è qualcuno che leggendo aspettava il momento in cui avremmo detto che è arrivata l’ora per lui di appendere gli scarpini al chiodo per il bene della sua Roma, che corra a comprare un qualsiasi altro giornale che scrive di calcio. Qui noi parlavamo di amore.
Luca Arleo
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