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Feb 03, 2014 Terza Pagina
Quindici anni fa ci lasciava Fabrizio De André. Un autore che non è mai stato di moda o alla moda, ma che, più di ogni altro, anche di chi ha scritto più in autonomia, ha lasciato un segno indelebile. E’ giusto chiedersi il perché. Crediamo che De André sia stato geniale al di sopra delle mode, capace di trasmettere un messaggio che arriva alla borghesia (alla quale apparteneva, nonostante il piglio anarchico), ai poveracci, dei quali voleva essere il cantore, ai radical chic, sempre alla ricerca di qualcuno che li rappresenti. Fabrizio è un mix di capacità di scrittura, di grande capacità di saper metter insieme le collaborazioni con altri artisti, si pensi a Mauro Pagani, alla PFM, a Massimo Bubola, a Vittorio Centenaro, a Riccardo Mannerini, a Francesco De Gregori e molti altri, che hanno messo le proprie idee, musiche e parole al servizio del grande chef della canzone, che manipola, stravolge, mescola e crea. Nel caso di De André ha senza dubbio ragione piena chi afferma: “ I geni si ispirano, a volte copiano e poi creano. I mediocri imitano”. E lui ha sempre creato e portato innovazione. Poteva avere un respiro molto internazionale, ma era un po’ pigro.
All’inizio della carriera, a Genova ascoltava di tutto e suonava la chitarra con passione. Colpiva perché per primo scriveva nei suoi testi parole che erano proibite come puttana e accennava a rapporti mercenari e a personaggi perduti. Poi è arrivata Marinella e grazie alla versione di Mina si è fatto notare da molti. Per anni incideva, ma non cantava in pubblico. Anzi, cantava con una voce incline al birignao, che in concerto sarebbe stata poca cosa. Poi arriva il primo concerto alla Bussola e grazie la collaborazione con la PFM imparò anche a cantare nei concerti e divenne Fabrizio immortale. Continuando a dare spazio agli emarginati e alle lingue regionali, prima fra tutte la sua, il genovese (lui era nato a Pegli, un rione a Ponente), scrisse capolavori indimenticabili con Mauro Pagani, come Creuza de ma e A cimma. E tutti, a prescindere dalla comprensione delle parole , hanno rivisto e riscoperto tutto Fabrizio, capendo che è un cantore, un menestrello, un bardo immortale. Alla sua morte gli hanno dedicato spazi,scuole, strade e i suoi testi sono pubblicati nelle antologie scolastiche.
Desideriamo aggiungere un dettaglio: sembrava triste e cupo e invece era spiritoso e pronto allo scherzo. Stare con lui, negli anni genovesi da Gianni Tassio in via del Campo, era un’esperienza da non dimenticare, anche se per un lungo periodo della sua vita non si dava tregua, passava le notti a scrivere e leggere, senza mai dormire e fumava e beveva whisky con ritmo costante, anche quando mangiava e affabulava.
Mauro Pecchenino
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