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Mag 04, 2016 Attualità, Italia
Roma, dal corrispondente
Pochi giorni fa Piercamillo Davigo, neo presidente dell’ANM, ha rilasciato un’intervista molto discussa al Corriere della Sera. Molto discussa per via dei suoi contenuti: ritenuti da alcuni scontati, per altri controversi, per altri ancora dannosi per il buon funzionamento del Paese.
In pratica il presidente riconosceva come l’opera di “pulizia” cominciata anni addietro all’interno del mondo politico italiano dalla magistratura, non avesse sortito gli effetti sperati e come il virus della corruzione fosse mutato in qualcosa di più intelligente e resistente, aiutato da una parte di politica poco decisa ad estirparlo definitivamente. Il titolo scelto dal corriere era un virgolettato che lasciava poco spazio all’immaginazione: “I politici continuano a rubare, ma non si vergognano più”.
Le reazioni sono state scomposte, di pancia più che di testa, e in molti casi hanno spinto la discussione in ambiti esterni alle motivazioni del magistrato, così da allontanare il ragionamento dal cuore del problema.
Lo spettacolo, per chi abbia avuto la voglia di seguirlo, è stato avvilente. Un sondaggio commissionato pochi giorni dopo i fatti, ha sentenziato che 8 italiani su 10 concordano con il presidente dell’Associazione Nazionale dei Magistrati e che una larghissima maggioranza pensa che negli ultimi 20 anni la corruzione nel nostro Paese sia aumentata.
In ogni caso, numeri a parte, l’alzata di scudi a difesa della classe politica, incapace invece di avviare una discussione seria di autocritica, ha scoperto ancora una volta i limiti evidenti di alcuni ingranaggi del nostro paese.
Ma il discorso di Davigo, e lasciamo con questo il mare di polemiche dei giorni scorsi, è stato interessante anche sotto un altro punto di vista.
Alla domanda del giornalista “L’Italia era con voi?”, il magistrato risponde “Gli Italiani non hanno mai avuto una gran considerazione di sé: siamo gli unici a dire di noi stessi cose terribili nell’inno nazionale, calpesti, derisi, divisi.”.
In questo dissentiamo dal presidente Davigo.
L’inno di una nazione rispecchia la nazione stessa. Solitamente in esso vengono descritti i passaggi salienti che hanno portato alla nascita di quel popolo in quella terra. L’Italia, paese negli ultimi secoli soggetto a ripetute invasioni straniere, non poteva non tenere in considerazione quel sentimento anche all’interno del testo del suo inno.
“Noi siamo da secoli; Calpesti, derisi; Perché non siam popolo; Perché siam divisi.”
Questo riportato sopra è un estratto di un passaggio che in pochi conoscono, la parte in cui compare la parola “derisi”, dal magistrato usata per spiegare la poca affezione che lega gli Italiani all’Italia.
Analizzata in questo modo, decontestualizzandola dal contesto storico generale, rischia però di tradire il vero senso del testo che si comprende meglio soltanto se letto nella sua totalità.
“Noi siamo da secoli; Calpesti, derisi; Perché non siam popolo; Perché siam divisi; Raccolgaci un’unica Bandiera, una speme; Di fonderci insieme; Già l’ora suonò.”
Noi abbiamo “ospitato” sul nostro suolo dai Francesi agli Austriaci passando per gli Spagnoli; nel giro di due secoli la nostra identità ha faticato anche solo ad essere individuata. Impossibile non tenerne conto.
Nel 1848 la penisola italiana era ancora divisa in sette Stati, quando Mameli scrive è il 1847.
Non sono gli Italiani che dicono di sé cose terribili, ma è la storia che ha fatto del suolo italiano un campo di battaglia per molti secoli, rendendo così lo spirito di appartenenza più diluito e meno vistoso.
Il nostro inno è più ricco di quanto si possa pensare cantando a ripetizione le poche parole che tutti conoscono. Il poeta ha ripercorso parte della storia della penisola italiana, legando assieme eventi in apparenza lontani e trovando un denominatore comune, un filo rosso continuo, proprio nella difesa del suolo italiano.
Mameli ha scritto la nostra storia in versi, un buon modo per rendere omaggio sarebbe quello di leggersi il testo per scoprire quelle strofe che per motivi di tempo non si riescono a cantare prima del calcio di inizio di una partita dell’Italia.
Luca Arleo
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