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Dario Fo teatro e genialità
E se ne è andato anche Dario Fo. Dopo Umberto Eco, un altro pilastro della cultura italiana nel mondo ha creato un vuoto. Un uomo contraddittorio, multiforme, sfaccettato Dario Fo. Aveva idee e momenti di genialità totale. A volte su di essa si attorcigliava, si ripeteva e si impuntava su una presenza in politica e per la difesa di altri, che diventava un tormentone che dava fastidio a tanti. Uomo di parte, ha sempre lottato, è sempre stato il rappresentante di una parte ben precisa dell’ideologia politica e non si è mai tirato indietro. Dario ha sempre lottato a braccetto con la partner di sempre Franca Rame, donna di straordinario coraggio e forza. Entrambi erano anche attori molto coinvolgenti e dominavano i palcoscenici e i teatri del mondo, nel Regno Unito e in Francia, in particolare, erano molto seguiti, tradotti, amati. Quando ottenne il Nobel, Dario fu molto criticato, soprattutto per invidia, uno dei mali italiani più endemici. L’idea che un giullare dello spettacolo come lui ottenesse un tal riconoscimento ha fatto rodere il fegato a scrittori, in primis, poi a giornalisti, attori, scribacchini, imbecilli di ogni tipo e provenienza. Ho incontrato Dario due volte sole, purtroppo. La prima volta avevo una ventina d’anni, a Genova, scrivevo per un piccolo settimanale locale, l’ho intervistai al Teatro Alcione dove metteva in scena una sua roboante pièce, lui aveva un forte mal di gola e consumava grandi quantità di miele, da un grande vasetto. Si scusava, non aveva un cucchiaio e lo prendeva con le dita. La seconda volta a Milano, al Teatro Parenti, interveniva ad un incontro per il restauro dello spazio, insieme a Emilio Tadini e altri. Ci siamo salutati con calore, diceva di ricordarsi di me e recitava benissimo. Era gentile e sorridente, mi ha detto di scrivere tanto, perché quando un teatro vive è una bella notizia. Hai ragione Dario, il teatro è vita e tu ne sei stato uno dei principali motori.
A presto. See you soon. A la prochaine
mauropecchenino@icloud.com
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L’Editoriale – di Mauro Pecchenino
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