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Ott 07, 2009 Terza Pagina
Poiché ogni anno vengono rilasciati negli Stati Uniti più di 4.000 brevetti sul DNA, c’è chi ha stimato che più del 20% dei circa 35.000 geni presenti nel genoma umano è già diventato di proprietà di qualche società farmaceutica o università. Dunque, un ignaro cittadino e i suoi familiari possono diventare oggetto di una caccia al loro prezioso patrimonio genetico. Questa situazione ha comportato che negli ultimi anni moltissime imprese si siano gettate alla caccia ovunque nel mondo di geni di microrganismi, piante, animali o esseri umani che appartengono al patrimonio genetico comune di tutte le specie viventi. Sono l’eredità di milioni di anni di evoluzione, ma possono essere sfruttati commercialmente per creare ad esempio nuovi prodotti agricoli o farmaci. E come i geni anche altre componenti dei corpi di creature viventi (cromosomi, cellule e tessuti) sono brevettabili e dunque sfruttabili commercialmente. Inoltre, con il progresso delle tecniche mediche, che consentono con sempre maggiore facilità di isolare, frammentare, conservare e reinnestare parti di un corpo su altri corpi, e con la progressiva globalizzazione economica del pianeta, ciò che si sta sviluppando oggi è un tipo di economia che è stato recentemente denominato dagli studiosi Catherine Waldby e Robert Mitchell «economia dei tessuti». Fenomeni come gli enormi interessi economici al lavoro sulla possibilità di scambiare parti minime dei corpi (la pelle, lo sperma, le ovaie, gli ovuli, le cellule, gli embrioni e il cordone ombelicale) e il traffico internazionale di organi umani da trapiantare (il cuore, i reni o le cornee) rendono evidente infatti che oggi abbiamo sempre più a che fare con una nuova forma di economia basata sul commercio delle principali parti degli esseri viventi. Un’economia consentita dalla possibilità odierna dei corpi di essere frammentati e ricombinati con sempre maggiore facilità. Il che ha permesso di conferire una nuova mobilità alle componenti della vita, le quali possono così entrare facilmente in circolazione nei flussi globali del capitale e diventare una importante fonte di valore economico.
Questi aspetti preoccupano soprattutto perché le innovazioni sviluppate dall’industria genetica procedono a passi da gigante. Com’è noto, nel 1996 è stata clonata a Edimburgo la pecora Dolly e da allora sono stati numerosi gli animali nati attraverso la clonazione: topi, scimmie, mucche, capre, maiali, conigli, muli, cavalli e cani. E sono in corso molti tentativi per dare vita al primo organismo vivente artificiale. In laboratorio, partendo da sostanze chimiche, si cerca di ottenere del DNA sintetico con il quale si creano dei geni e quindi l’impianto molecolare di organismi completamente nuovi. Nel marzo del 2006 le università della California e dell’Illinois hanno creato un virus artificiale. Ha vissuto solamente 50 nanosecondi, ma si è trattato di un primo passo verso la vita artificiale. Finora i ricercatori comunque hanno fabbricato elementi biologici singoli e non organismi completi in grado di autoreplicarsi. Ma forse è solo questione di tempo e un domani dovremo imparare a convivere con esseri viventi completamente artificiali. Naturalmente acquistabili sul mercato pagando il relativo prezzo.
Vanni Codeluppi
Docente dell’Università di Modena e Reggio Emilia
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