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Nov 26, 2012 Consiglio di Lettura, Le rubriche di flip
Matteo Bondioli’s picture from Flickr.com
Venturi aevi non immemor
(Non dimentico i giorni che verranno)
Motto della famiglia Serra Cassano
NO BICI è un libro divertente e ironico, con una prosa tagliente e asciutta. Un libro che parla di bici, ciclisti, automobili e automobilisti e poi ancora di sicurezza stradale, limiti di velocità, piste ciclabili e sindaci. Il titolo è chiaramente una provocazione dell’autore, Alberto Fiorillo, giornalista e portavoce nazionale di Legambiente, il quale in realtà utilizza la bici quotidianamente ed è animatore del movimento Salvaiciclisti. NO BICI richiama ironicamente il saggio NO LOGO di Naomi Klein, che affronta il fenomeno del branding evidenziando il fatto che oggi si spendono molti più soldi e più attenzioni nei confronti del marchio che non della merce in sé. Così anche la bici oggi è ormai divenuta una questione di moda, andare in bici rappresenta un motus symbol (più che uno status symbol), che comporta il vestirsi in un certo modo, parlare in un certo modo, ammiccare in un certo modo, e perché no, anche rimorchiare in un certo modo (perché andando in bici si rimorchia molto di più che in auto).
Nel libro c’è poi una lunga descrizione di vizi e virtù dei ciclisti. Tra questi troviamo il ciclista professionista, che veste tutine variopinte e attillate in fibre tecniche, c’è poi il cicloamatore che ha al suo interno diverse sottocategorie: il grande cicloamatore che partecipa a decine di gare ogni anno e lo fa quasi come un secondo lavoro, c’è il cicloamatore del week-end, il cicloamatore statico e quello che ha appeso la bici al chiodo. C’è poi il mountain biker che gode nel tagliarsi nei rovi che nessuno ha mai attraversato prima di lui, sentendosi una specie di Indiana Jones sulle due ruote, c’è il cicloviaggiatore un moderno Marco Polo in biciletta, il ciclista urbano, il ciclofissato, e il ciclista occasionale ovvero quello “una volta tanto”, che prende la bici solitamente “mai durante la settimana”. Ma nonostante ciò il numero di persone che per spostarsi quotidianamente utilizza la bici, è ad oggi ancora esiguo.
Riguardo alla sicurezza stradale un dato molto preoccupante è il numero di morti sulle strade: 4090 nel 2010. Ancor più impressionante se si considera che la maggior parte degli incidenti avvengono non il sabato sera e non per mano di giovani ubriachi o sotto effetto di stupefacenti ma intorno alle 18:00 ora in cui si rientra dal lavoro, stanchi, nervosi e con un notevole calo dell’attenzione. Allora perché non incentivare l’uso della bicicletta in città? Qualcuno dirà che andare in bici costa troppa fatica, non si possono accompagnare i figli a scuola (che molto spesso si trova a meno di 500 metri da casa), non si può fare la spesa, oppure che la bici non è inscritta nel nostro DNA a differenza ad esempio del popolo olandese. A tal proposito nel libro c’è un aneddoto che fa molto riflettere. Alberto racconta che un giorno ad una signora di Ferrara che stava in bicicletta aveva chiesto in che modo lei si spostasse in città. Lei aveva risposto: “A piedi!”. Alberto meravigliato dalla risposta le chiede cosa fosse allora quella roba su cui stava seduta. E lei (meravigliata dalla sua meraviglia): “Sì – a piedi, in bici, è la stessa cosa!”.
La signora di Ferrara, ha solo espresso un concetto molto importante, cardine della filosofia dell’essere mobile, ovvero che “la bicicletta altro non è che la prosecuzione del movimento umano con altri mezzi”. Inoltre andare in bici fa bene alla salute, è il mezzo di trasporto urbano più rapido, non inquina, non è rumorosa, è economica (non ci sono spese di bollo, assicurazione, benzina e di parcheggio), in una dozzina di settimane di utilizzo quotidiano migliora sensibilmente la forma fisica e nel giro di qualche anno si guadagnano quindici punti di quoziente intellettivo. Insomma costruire città a misura di bici significa farle a misura d’uomo. Perché fin quando si continuerà a pensare alle automobili come unico mezzo di trasporto possibile, si continuerà a costruire parcheggi su parcheggi senza nemmeno accorgerci che stiamo condannando le città all’autodistruzione.
Paola Tudino
paolatudino@gmail.com
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