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Giu 05, 2010 Attualità, World Wide
Cambogia. Fino a due mesi fa nemmeno sapevo dove si trovasse. Thailandia, Laos, Vietnam e sopra la Cina. A parte forse il Laos, le altre tre mi portano alla mente sicuramente qualcosa, memoria collettiva, guerre lontane, luoghi comuni. Ma la Cambogia? Nulla. Eppure questo piccolo paese, più piccolo dell’Italia c’è e per secoli se lo sono conteso i paesi confinanti, e da quelle contese sono nate dinastie, guerre e massacri.
Non lo sapevo, non sapevo ci fosse stato un olocausto anche qui, non sapevo ci fosse il sito archeologico più grande al mondo, non sapevo che mentre Carlo Magno espandeva il suo Sacro Romano Impero un altro condottiero cercasse di creare la propria grandezza e, soprattutto, non ne conoscevo la storia contemporanea. Troppo lontano? Troppo difficile spiegare perché l’Occidente per anni abbia fatto finta di non sentire le urla, anche se le notizie in qualche modo arrivavano, anche se un popolo intero stava per essere sterminato da se stesso, da un’ideologia portata al fanatismo? Non penso sia solo mia ignoranza, è che l’Indocina non fa parte del normale percorso scolastico, come si può sapere chi è Pol Pot se quasi le nuove generazioni rischiano di non sapere cosa sia stato il genocidio ebraico? Come ci si può interessare a un popolo che non influenza le nostre vite, se non si cerca nemmeno di capire culture che ora, forzatamente, si stanno inglobando nel tessuto della nostra?
“Non lo so”, la risposta tipica dei cambogiani. Mi sto già adeguando per bene. D’altra parte nemmeno loro hanno una risposta per quello che è successo, non ne parlano, non vogliono ricordare, non sanno perché chi doveva liberarli li ha soggiogati e poi uccisi, uno dopo l’altro. Alcuni di loro non credono nemmeno che i Khmer Rossi fossero Khmer, che poi non significa altro che cambogiano.
Non sanno perché famiglie intere siano state divise, torturate e poi sterminate. Non sanno perché la memoria dovesse essere cancellata, insieme alla tradizione e al loro credo, non sanno perché i Khmer Rossi cercassero di creare una nuova razza senza legami con la precedente, ma dalla precedente. Non sanno perché bambini fossero diventati killer senza pietà, come potessero uccidere più facilmente che sorridere. Sopravvivenza, tutti cercavano solo di sopravvivere e questo voleva dire fingere, rinnegare, dimenticare, diventare sordi e muti e senza alcun sapere perché la conoscenza stessa era bandita dal nuovo regime, perché insieme al ricordo permetteva di capire la differenza tra bene e male e racchiudeva il cosa era stata la Cambogia prima, magari solo tornando ai tempi della neutralità di Sihanouk.
Le sagome delle palme stagliate nella luce del tramonto non si accompagnavano più a risaie, contadini e vita ma a fosse comuni, resti umani e morte.
Chi riusciva a scappare da questo enorme campo di sterminio e purificazione non veniva creduto. La realtà risulta sempre essere più assurda e angosciante di ogni immaginazione e più terrificante di qualsiasi visione. L’Occidente non voleva ascoltare e credere che la storia si stesse ripetendo, eppure la storia continua inesorabilmente a ripetersi, cambia solo parte nel mondo e credo politico, ma continua a essere la stessa.
Salvatori diventano dittatori, interi popoli vittime e la terra continua a trasudare il sangue versato dalla follia dell’uomo. Non impariamo mai, non impareremo mai e, prima o poi, ci stupiremo, mi stupirò io stessa per qualcosa di altrettanto atroce.
Quasi 2 milioni di morti, assassinati. Quasi due milioni di anime stanno ancora aspettando una giustizia che solo nel 2007 ha cominciato a muovere i primi passi, non trovando quasi più nessuno da processare.
Rimane la memoria, che i cambogiani vorrebbero eliminare, e la giornata dell’odio, il 20 maggio, perché i Khmer Rossi non possano più tornare.
Federica Adamoli
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