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Giu 16, 2020 Arte & Musica, Cultura
Ma vi sono altre “aristocratiche strade adorne di immensi palazzi” dove anche questi rari segni di vita sono assenti, e queste sono davvero monotone, noiose, per l’Autore. Altissimi muri senza finestre che racchiudono giardini di conventi, o con finestre alte e piccole per non distrarre gli occupanti con “la pompa e la vanità del mondo circostante”, palazzi con finestre sbarrate con tavole di legno, ed in una di queste abita, pur non facendo parte dell’aristocrazia, l’ex attrice Clementina Dossi, che prenderà Giulia al suo servizio e che, fattasi pia, combatte strenuamente contro il peccato capitale della gola.
La descrizione dell’interno di uno di questi palazzi abitato da altri protagonisti del romanzo è fantasioso quanto fantastico: enormi stemmi nobiliari, file di stanze una dentro l’altra, affreschi sbiaditi dal tempo, soffitti di legno scolpito adorni di scene mitologiche, perfino una portantina di legno intagliato e dorato per il trasporto dei nobili, grandi sedie cinquecentesche, salotti e salottini e controsalotti. Così come è lunga ed accurata la descrizione della complessa procedura per il sorteggio delle reclute fra gli uomini abili: un palco eretto nella piazza principale, davanti al palazzo pubblico. L’Autore qui ricorda che una delle canzoni popolari più melanconiche da lui udite nel nostro paese era dedicata proprio ai giovani della Toscana costretti da Napoleone ad arruolarsi per le sue micidiali guerre. Il suo commento: “nulla di più lontano da ogni idea di entusiasmo o di desiderio per la ‘gloria’ francese”. E qui Trollope non nasconde l’antico e mai sopito odio britannico per il Piccolo Còrso. Purtroppo fra i cento numeri estratti del contingente richiesto dall’esercito, in quel giorno di maggio, c’è proprio quello del nostro Beppo.
Il villaggio di Santa Lucia, tutto da verificare nella sua esistenza reale dell’epoca, è quello cui fa capo la fattoria Bella Luce dei familiari di Beppo. Dalla descrizione (un alto castello con sotto il borgo dei contadini e degli artigiani), potrebbe essere uno dei tanti del preappennino marchigiano, da Piobbico a Frontone tanto per citarne due. Di qui comincia la latitanza di Beppo secondo questo itinerario che gli suggerisce il prete locale, arcinemico del regno sabaudo e della sua odiata coscrizione obbligatoria (il Papa non faceva di questi errori con i suoi sudditi, si era già scelto da tempo i migliori mercenari dell’epoca, gli svizzeri dell’unico villaggio ipercattolico della futura confederazione): “vai diritto verso il monte Conserva, evitando villaggi e paesi dove tutti ti conoscono, poi dirigiti verso sud, passa il fiume a Volpone, sotto Sant’Andrea, e vai verso monte Arcello e poi scendi giù fino ai pressi di Acqualagna. La conosci Acqualagna? Si reverendo padre, ci sono stato spesso, ma passando per il Furlo”.
Il Furlo, minuziosamente descritto da Trollope, è da evitare, prosegue il reverendo padre, più sicura la via delle montagne. Nei pressi di Acqualagna un frate francescano darà il primo asilo al fuggiasco, che di lì lungo il Cardigliano (sic) si avvierà verso Piobbico, distaccandosene solo alla confluenza con il fiumicello chiamato Biscuglio. Di lì Beppo giungerà a un piccolo priorato noto come Santa Maria della valle dell’abisso, nascosto alle pendici di un alto monte che si trova a sud del priorato, il monte Nerone (e questo tutti lo conosciamo). Ma tutto il complesso itinerario da lui seguito è quasi interamente da ricostruire a meno che non si tratti di un esercizio in geografia fantastica. Pure da numerosi dettagli si intuisce che l’Autore ha avuto conoscenza diretta e approfondita di tutti i luoghi elencati, compresi quelli fantastici e pur verosimili, e che quindi deve aver soggiornato per qualche tempo non nelle Marche, ma specificamente nella nostra Marca di Pesaro Urbino e Fano, girovagando per quelle incantevoli colline e raccogliendo diligentemente appunti per il suo futuro romanzo. Perché c’è in lui un tale profondo e sincero amore per quelle campagne da immaginarselo a piedi con qualche conoscitore dei luoghi, magari tracciando qualche schizzo dei paesaggi più belli à la façon dei suoi predecessori del Grand Tour, anche se la costa adriatica è sempre stata un po’ negletta da quegli intellettuali abbagliati solo da Venezia e al più Padova e Ravenna (1).
Ma del latitante ormai si occupano tutti: il giovane ufficiale che corteggia Giulia ha capito che lei sa dove si nasconde e fa di tutto perché lei convinca il giovane a costituirsi onde evitare il peggio. Qui la trama diventa inestricabile, fra le vicende dei famigliari di Beppo, l’intervento della Signora Dossi, protettrice di Giulia, gli ottusi parenti della giovane, frati impiccioni, militari rigidi esecutori di ordini incomprensibili. C’è perfino un viaggio, altamente improbabile ma pieno di fascino romantico, che Giulia intraprende nelle campagne alla ricerca di Beppo, al quale lei non ha mai confessato alcun amore e che anzi ha sempre formalmente dissuaso dal corteggiarla. Fino all’epilogo potenzialmente drammatico ma che si scioglie in un lieto fine, in cui Giulia, Beppo e i soldati che lo stanno braccando si incontrano tutti proprio al Furlo dove schiocca anche qualche fucilata: ennesimo evento da registrare in quel terribile varco dall’epoca più antica teatro di feroci battaglie, costituendo ancora oggi ahimè, l’unico passaggio fra le due sponde nell’Italia centrale.
Il libro di Trollope con tutto il suo romanticismo ed il suo chiaro amore per l’Italia dimostra un certo coraggio. Proporre a un pubblico inglese di lettori di romanzi fin-de-siècle una storia tanto italiana, ambientata in luoghi assolutamente sconosciuti ai più, piena di riferimenti a situazioni sociali economiche e religiose impensabili per un protestante liberal dell’età vittoriana – tutto questo richiedeva un certo impegno, visto che Trollope doveva anche combattere la propaganda negativa che veniva dal fratello più noto e famoso ed ancor oggi letto almeno in Inghilterra con una certa affezione. Per noi fanesi resta un omaggio sincero e fedele ad una realtà che nessun scrittore della nostra regione, a quanto mi consta, si è mai degnato di rappresentare se non Fabio Tombari nel piccolo capolavoro di “Tutta Frusaglia” – quell’umile ma vivo tessuto di luoghi, persone, sentimenti e episodi che è una delle caratteristiche più dolci e più care ancor oggi a tutti noi che abbiamo avuto la ventura di nascere in quelle terre, e di frequentarle ancora con lo stesso semplice amore.
Giulio Colavolpe Severi
(ex Redattore Capo TG2)
Ndr. Le frasi in corsivo nelle citazioni tratte da romanzo sono in italiano nel testo
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