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Giu 16, 2020 Arte & Musica, Cultura
Pubblichiamo un interessante contributo di Giulio Colavolpe Severi, per molti anni colonna del giornalismo Rai
‘Beppo, la recluta’ è un curioso romanzo dell’’800 scritto da Thomas Adolphus Trollope, fratello maggiore del più noto Trollope, celebrato romanziere dell’età vittoriana. Romanzo poco noto ma di interesse particolare per Fano e dintorni dove è ambientato, caso raro nella letteratura inglese del secolo. Così la trama del romanzo viene riassunta, in una noticina sotto il titolo, dal curatore americano del volume, come una manchette pubblicitaria per invogliare il lettore:
“In ‘Beppo, la recluta”, noi veniamo trasportati in ‘quella stretta fascia di territorio fra gli Appennini e l’Adriatico, a sud di Bologna e a nord di Ancona,’ una volta fulcro della civiltà europea, dove il Tasso componeva e impazziva, e dove fioriva la corte dei duchi di Urbino. Ma non per rivivere quel glorioso passato siamo condotti dall’Autore nella vecchia, decaduta città di Fano e nelle valli ombrose che si annidano fra le colline circostanti: il romanzo ci illustra invece la semplice, primitiva vita agricola, l’economia della regione, e le più recenti vicende politiche e sociali dei suoi abitanti. Mezzi e modi di lavorare la terra – il ‘vino, grano ed olio’ delle Sacre Scritture e dei tempi di Virgilio, l’avarizia, l’orgoglio, l’amore, l’industriosità e le superstizioni e l’ignoranza dei contadini della Romagna (un protagonista del libro ritiene che la cattiva vendemmia sia stata provocata dalla nuova ferrovia litoranea, ndr), una famiglia rurale agiata, le sue abitudini, i suoi connotati, l’azione subdola e vincente del clero nella segreta opposizione al nuovo governo liberale italiano – ci vengono rivelati con grande chiarezza e con una fedeltà ai luoghi e alle persone che ci porta nel cuore della gente e ci mostra tanto gli arcana quanto gli eventi palesi e manifesti della vita di ogni giorno. Le scene domestiche di campagna e di provincia così come tutti i personaggi, sono descritti fedelmente nei loro vividi colori naturali”.
Per riassumere in breve la storia di Beppo e soci che supera le trecento pagine, diciamo subito che il racconto ricalca molto alla lontana il capolavoro manzoniano. Anche qui c’è un onesto giovane che si innamora di una giovane molto esitante a ricambiarlo, ma l’opposizione dei parenti li divide. In più, ed ecco svelata la ragione del titolo, proprio in quegli anni, immediatamente dopo l’unità completa d’Italia, il nuovo governo vara la coscrizione obbligatoria, il servizio di leva scomparso da solo pochi anni. Il reclutamento avviene per sorteggio, essendo i giovani in età di leva molti più di quanti servono. Ma Beppo viene estratto e i parenti si rifiutano di riscattarlo: il sistema prevedeva infatti che pagando una certa somma si poteva essere esonerati. Da qui la latitanza di Beppo, che, mal consigliato, peregrina per le montagne, braccato dai Carabinieri, si rifugia in un convento e soltanto alla fine si costituisce; mentre la sua bella di nome Giulia diventa la dama di compagnia di una signora di Fano, ed è invano corteggiata da un ufficialetto che sarà poi l’artefice della resipiscenza di Beppo. Un lieto fine, non senza varie e complesse peripezie, corona la storia d’amore.
L’interesse dell’opera, scritta in un inglese letterario vittoriano non privo di humour e pervaso di una certa simpatia per i protagonisti e di una viva partecipazione alle vicende storiche del periodo post-unificazione, risiede per chiunque ami le Marche, sia per provenienza sia per scoperta, nella descrizione dei luoghi. Luoghi che sono fedeli nella descrizione (il monastero, l’eremo, la fattoria, la città, monti fiumi foreste ponti etc.) ma singolarmente confusi nella collocazione spaziale. La fattoria dal nome di ‘Bella luce’ non propriamente marchigiano, forse più toscaneggiante come lo stesso diminutivo del protagonista, è a quattro ore di cammino da Fano e sembra collocata a ovest di Fossombrone (verso Fermignano?): esistono toponimi come Sant’Andrea in Vado, monte Conserva, Santa Maria della Valle d’Abisso, Santa Maria delle Selve, un ponte sul Metauro denominato Ponte Volpone, Santa Maria del Monte, monte Arcello; Piobbico e Acqualagna sono propriamente identificati e riconoscibili.
All’inizio della descrizione di Fano, l’autore fa una considerazione non proprio peregrina: “la nuova ferrovia che viaggia in linea retta da Bologna a Ancona per 124 miglia, attraversa non meno di dieci città episcopali, per la gran pare situate sulla costa. Ma nonostante l’onorato mestiere di San Pietro (pescatore, ndr) sempre venerato dalla Chiesa, pare che vescovi e marineria non vadano d’accordo. Perché, per la preponderanza dell’elemento episcopale, tutte queste città adriatiche sembrano aver perso contatto con la loro vocazione marittima.”
Ma entriamo con il Nostro in Fano: “C’è una certa e forte aria di famiglia in tutte queste città vicine, ma ognuna ha le sue caratteristiche peculiari. Fano è una delle più anonime agli occhi di uno straniero. Non è così sporca come Pesaro o Rimini, ma è ancora più addormentata. Ci sono meno mendicanti per le strade ma in compenso ci sono anche meno esseri umani in giro. Le istituzioni ecclesiastiche della città, compreso un meraviglioso assortimento di conventi e monasteri di ambo i sessi, e di ogni foggia e colore, sembra indicare che le menti degli abitanti sono tutte assorbite da argomenti spirituali, e la cittadina sembra essersi ritirata da ogni altro interesse attivo di qualsiasi genere, perfino per quanto riguarda il mare così vicino…..Forse la nota tempestosità dell’Adriatico contrasta troppo con la placida sonnolenza dei Fanesi.”
In effetti il Nostro coglie la netta separazione fra la città ed il mare: “La cittadina è interamente circondata da possenti mura con solo una piccola porta rivolta alla costa. Ma anche così ai Fanesi non è concessa nessuna vista dell’inquieto, insonne mostro tanto vicino. La vista è preclusa, pochi metri dopo le mura, da un’alta serie di dune di sabbia, aride, brulle, color marrone chiaro, dall’aspetto desolato. E lo straniero che, sapendo l’Adriatico nelle vicinanze, volesse superarle e giungere alla spiaggia distante dalle mura un centinaio di metri, si troverebbe in completa solitudine……Fano e l’Adriatico sono costretti a essere vicini. Ma hanno deciso di comune accordo di vedersi il meno possibile.”
Con questa affascinante descrizione della futura Sassonia, il Nostro, figlio di una terra che dal mare trae la sua ragione di vita, liquida con malcelata incredulità il rapporto Fano-mare. E non c’è da meravigliarsi che, reduce dai trionfi dell’era industriale britannica, calchi il tono sulla ‘dormienza’ di Fano, anche con una certa durezza: “Sembra assurdo per chi è passato di qui indicare una strada squallida e noiosa: sono tutte meravigliosamente tali. Ma ci sono delle differenze. Al mattino ci sono quattro o cinque vecchiette sedute dietro i loro banchetti nella grande piazza. (pesce? Che vi pare? Ma se con il mare noi non ci parliamo! Noi mangiamo pesce salato che viene da- chissà dove…E anche nell’ora sacra della siesta c’è solo qualche cane addormentato o che vaga pigramente nel centro storico. C’è anche qualche negozio nelle vie più vicine al centro, i cui proprietari acconsentiranno a separarsi da qualche articolo in vendita solo se li metti di buon umore chiacchierando e spettegolando prima per una buona mezz’ora e senza far pesare la parola ‘commercio’ troppo crudamente. E tutto questo è vita.” (Continua…)
Giulio Colavolpe Severi
(ex Redattore Capo TG2)
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