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Set 28, 2016 Lifestyle, Società
Milano
Di norma la bellezza, la cultura e l’eleganza sono nel DNA degli Italiani. Come la passione per i motori, per il cibo, per il buon vino e per il calcio. Di norma gli Italiani si rendono conto dello splendore che li circonda solo quando vanno all’estero. Capita anche che una sottile ma persistente malinconia li avvolga quando, trasferitesi all’estero per studio o per lavoro, si rendano conto di trovarsi in un luogo magari più organizzato, all’apparenza meno corrotto e più civile, ma senza neanche l’ombra dello struggente fascino del loro Paese. Una malinconia alla soglia del dolore è quella che abbiamo provato personalmente a San Siro in occasione dell’ultimo derby di Italia: Inter Juventus, disputato il 18 settembre di quest’anno e che ha visto un’arrogante Juventus ricevere una lezione di calcio e di umiltà da una Inter operaia, che ha saputo regalare ai propri tifosi un raro quanto insperato momento di gioia: due reti a uno per l’Ambrosiana e noi juventini a casa, in silenzio. La partita è stata disputata alle 18.00 di domenica, in una di quelle giornate che Milano sembra davvero una città magica: sole e cielo azzurro, vento frizzante, colori di settembre che durano il tempo di una canzone di Vecchioni. Mia moglie, a differenza della maggior parte delle mogli del mondo, ha insistito molto per andare allo stadio a vedere la nostra squadra del cuore, la Juventus, e quel giorno sembrava perfetto per trascorrere un pomeriggio d’allegria, spettacolo e sport. Abbiamo trovato i biglietti per caso, il giorno prima del match li abbiamo comprati su di un sito internet semi-sconosciuto, ma incredibilmente tutto ha funzionato a dovere e siamo riusciti ad accedere allo stadio. Non essendo assidui frequentatori dello stadio di San Siro eravamo leggermente spaesati e abbiamo dovuto chiedere aiuto a uno steward per scoprire da che parte andare per trovare i nostri posti a sedere. Nel tragitto verso il nostro settore abbiamo incrociato un gruppo di tifosi della Juventus, la nostra squadra, che mentre saliva le spirali che portano al settore ospiti ha voluto omaggiarci, gridando insulti razzisti nei confronti di mia moglie. Le urla e gli insulti provenivano principalmente da uno strano tizio con degli occhiali dalla montatura giallo fosforescente. Io e mia moglie ci siamo guardati prima con stupore, poi con divertimento e infine con la sensazione di essere stati testimoni di un comportamento piuttosto bizzarro quanto inaspettato: credo di aver provato lo stesso stupore divertito di quando, diversi anni addietro, in vacanza a Bali mi imbattei in due scimpanzé che fornicavano nella giungla incuranti dei turisti che gli passavano a pochi metri di distanza. Il feroce insultatore era un tifoso della nostra squadra, era un giovane italiano esattamente come me e mia moglie e per qualche giorno mi sono domandato perché avesse voluto insultare gratuitamente mia moglie, che tra l’altro è anche una bellissima donna, con un volto dolce e per niente odioso. Né io, né mia moglie ci aspettavamo di trovare dei gentleman in curva, ma nemmeno di ricevere un attacco verbale così forte, così gratuito, così selvaggio. Ho provato ad immaginarmi le giornate dell’urlatore infoiato, la sua infanzia, i suoi genitori, la sua prima bicicletta, il suo primo giorno di scuola, la prima volta che suo padre o suo zio o suo nonno o tutti e tre insieme lo hanno portato allo stadio e il giorno che ha deciso di tifare Juventus. Ho provato tenerezza e pena nei suoi confronti. Quante e quali botte deve aver ricevuto, quale assenza di civiltà deve averlo formato, quale grigio sordo, quale vuoto pneumatico deve avere circondato le sue giornate per arrivare ad essere così barbaro nei modi. Vorrei tanto abbracciare quel tifoso e dirgli che va tutto bene. Che la Juventus molto probabilmente vincerà il campionato anche quest’anno, forse non la Champions, ma il campionato sì, è alla nostra portata. Vorrei dirgli che gli voglio bene e che per me lui è speciale, come è speciale questo nostro Paese a forma di stivale che spesso per contrappasso è preso a calci nel culo da noi e dagli altri, ma che in fondo è ancora un bel posto in cui vivere e costruire e sognare e da rendere migliore. Vorrei stringergli la mano e dirgli che i nostri nonni hanno ricostruito un Paese distrutto dalla guerra e coperto di macerie e che le stesse macerie che lui ha in testa possono sparire per lasciare il posto alla bellezza, all’eleganza e allo sport, quello vero. Vorrei dirgli che la bellezza del nostro Paese è dovuta al fatto che sta in mezzo al mare e che è stato attraversato da persone di tutti i colori, usanze e religioni. Vorrei abbracciarlo e dirgli che in fondo gli è andata bene e che non è tutto perduto: poteva nascere interista.
Enrico Quaroni
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