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Ott 08, 2014 Attualità, Italia
Roma, dal corrispondente
Periodo travagliato per l’immagine della Cina. Una nazione tanto attenta a mantenersi lontana dalle diatribe internazionali, suo malgrado, è incappata in un paio di episodi che l’hanno proiettata al centro delle cronache di tutto il mondo.
Il primo riguarda il negato visto di ingresso da parte del Sudafrica al Dalai Lama, impedendo così al leader religioso tibetano la partecipazione al summit dei premi Nobel per la pace che si sarebbe dovuto svolgere dal 13 al 15 ottobre a Città del Capo. Per dovere di cronaca, va detto che l’indignazione per l’episodio ha suscitato un tale moto di sdegno che ha portato gli organizzatori, su espressa richiesta degli altri Nobel, a ripensare l’evento in un paese “amico” e candidando Roma come probabile sede. Per capire cosa c’entri la Cina con questa decisione assurda del Presidente Jacob Zuma, basti pensare che i paesi del BRIC – una sorta di comunità di stati alternativa al blocco atlantico composta da Brasile, Russia, India e Cina – hanno da qualche tempo (dicembre 2010) aperto le porte alla nazione sudafricana permettendole così una ribalta che, stando ai parametri economici e di sviluppo degli altri membri, sembra un po’ pretestuosa. Ovviamente lo sponsor del neo membro è la Cina, che investe pesantemente nel paese e ha tutto da guadagnare nel pubblicizzare un suo satellite. L’immagine del Sudafrica ne esce alquanto malconcia, ma Zuma non sembra molto preoccupato dalla questione. Come del resto la Cina che non commenta e incassa compiaciuta. Una notizia destinata a sgonfiarsi velocemente.
Quello che invece la “terra di mezzo” non poteva proprio immaginare, era che al suo interno qualcuno potesse avanzare pretese democratiche. Aspirazioni apertamente in contraddizione con l’impianto generale del Paese la cui onda lunga rischia di togliere il sonno ai vertici del Partito. Hong Kong, un territorio già di per sé con una storia travagliata alle spalle, continua così a tormentare i vertici del Partito. Dalla Guerra dell’Oppio in poi, questo pezzo di Cina ha avuto un percorso problematico, diviso tra la corona inglese e le truppe nipponiche che lo invasero mettendo a ferro e fuoco tutto e compiendo atti efferati sulla popolazione inerme. Nel 1997 la Gran Bretagna decise che era tempo di abbandonare questo residuo della grandezza imperiale che fu e restituì Hong Kong alla Madrepatria, contenta di annettere così nuovamente a sé una terra tanto importante. Quello che non sapeva, era che proprio da qui sarebbe montata la più grande protesta di piazza dai tempi di Tienanmen.
Le richieste dei manifestanti sono chiare: non interferenza nelle prossime elezioni per il governatore da parte del partito e quindi di Pechino. Appellandosi all’accordo che garantiva “un paese, due sistemi”, gli umbrella man – così soprannominati per aver usato gli ombrelli contro i lanci dei fumogeni – hanno paralizzato di fatto uno tra gli hub finanziari più importanti d’Asia. Dopo qualche tentennamento iniziale, la situazione ha rischiato di prendere una brutta piega a causa dell’intromissione di non meglio specificati personaggi che, mischiandosi a quanti indispettiti per le ripercussioni del blocco pro – democratico, hanno alzato il livello di scontro.
Ad oggi sembra che la tensione stia scemando per le aperture che il governo di Hong Kong sta facendo e che dovrebbero portare al confronto tra rappresentanti di entrambi gli schieramenti per una risoluzione pacifica della cosa. Di certo c’è che Pechino non accetterà di buon grado che venga messa in discussione una sua direttiva, a prescindere da cosa uscirà da questi colloqui.
Luca Arleo
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