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È facile capire – passeggiando per i Colli Euganei – il motivo che spinse il Petrarca a stabilirsi ad Arquà (nel 1860 fu aggiunto il nome del Petrarca), un piccolo borgo del Veneto in provincia di Padova. «Vasti boschi di castagni, noci, faggi, frassini, roveri coprivano i pendii di Arquà, ma erano soprattutto la vite, l’olivo e il mandorlo che contribuivano a creare il suggestivo e tipico paesaggio arquatense», si legge in un documento conservato al museo civico padovano. L’autore del Canzoniere giunse nel borgo nel 1368, stanco dei continui viaggi diplomatici in Italia e in Europa, e vi si stabilì l’anno dopo dedicandosi al giardinaggio, «scelgo di abitare in un solitario piccolo villaggio, in una graziosa casetta, circondata da un uliveto e da una vigna, dove trascorro i giorni pienamente tranquillo, lontano dai tumulti, dai rumori, dalle faccende, leggendo continuamente e scrivendo». Inoltre, riceveva visite, scriveva lettere agli amici di Arezzo – la sua città natale – e passeggiava sul far dell’alba, il momento della giornata che più amava, perché il migliore per raccogliere i pensieri e incontrare la natura nel suo risveglio, nel fresco delle prime ore del giorno. Anche voi, come il Petrarca, potrete immergervi nelle bellezze naturali del Monte Piccolo e del Monte Ventolone e godere del panorama che offrono, delle oasi silenziose tra le ginestre e i pini neri e fitti boschi di latifoglie. Ma tutto il borgo trecentesco emana quell’ariosità e leggerezza a cui aneliamo quando si ha il bisogno epidermico di “staccare” con la quotidianità e fuggire la città. Oltre alla dimora del poeta, immersa nel verde e dagli orti che lui stesso curava, lungo le rampe tortuose che dal paese basso portano a quello alto, ci si trova all’interno di una fantasia rurale che inizia con le case in pietra e prosegue con i vecchi lavatoi, terminando con la chiesa di Santa Maria Assunta. Sul suo sagrato, la tomba del Petrarca, morto tra la notte del 18 e il 19 luglio 1374:“Questa pietra ricopre le fredde ossa di Francesco Petrarca./Accogli, o Vergine madre, l’anima sua/E tu, figlio della Vergine, perdona./Possa essa, stanca della terra, riposare nella rocca celeste”. Passando dal sacro al profano, il borgo è il posto giusto per una scorpacciata di giuggiole, ottime oltre che nel brodo, anche consumate fresche, in confetture o sciroppi. E come piatto del posto, provate i bigoli al ragù di manzo, spaghettoni fatti a mano con farina e uova, passati in un “torchio” e conditi con porcini. Per i ristoranti c’è l’imbarazzo della scelta. Al Guerriero Osteria con piatti tipici della tradizione veneta, a La Costa, ristorante pizzeria oppure il Miravalle con vista sui colli. E ancora, se volete omaggiare il poeta potrete fermarvi a La Cucina del Petrarca, un ambiente accogliente e confortevole gustando specialità allo spiedo.
Giovanna Scatena
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