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Giu 03, 2016 Attualità, World Wide
Foto nbc.com
Pochi giorni fa, in uno zoo di Cincinnati, un gorilla di pianura è stato abbattuto perché ritenuto pericoloso per un bambino di 4 anni caduto accidentalmente all’interno del recinto dell’animale.
Il fatto è noto e ha scatenato un dibattito acceso tanto sulla bontà dell’intervento quanto – più in generale – sul ruolo degli zoo nelle città di molte parti del mondo.
Il discorso è stato ampiamente dibattuto e sull’annosa questione del cosa fare, gli schieramenti si sono dati battaglia: è stato giusto uccidere un gorilla per mettere al riparo il bimbo dal rischio di una qualsiasi azione violenta del primate? Non sarebbe stato possibile usare un sedativo?
Quello che però dal nostro punto di vista interessa maggiormente non è il fatto in sé, quanto piuttosto l’ennesima conferma di come molti usino la rete e la relativa libertà di parola coperta dall’anonimato, per sfogare i più reconditi complessi.
Commenti al limite della comprensione hanno messo sotto accusa i due genitori rei di non aver saputo badare al proprio figlio, accusandoli di scarsa attenzione e quindi di essere meno degni di vivere che non quel povero animale inerme.
Fermo restando che nessuno e, supponiamo men che meno i responsabili del parco in questione, provi piacere nell’uccidere un animale indifeso e ancor meno che alla vita di un qualsiasi animale, un uomo preferisca quella di un suo simile a maggior ragione se bambino.
Al contrario, dopo disamine accurate del comportamento del gorilla, fatte da persone con competenze acquisite chissà dove, si è giunti alla conclusione certa che il povero animale non avrebbe fatto nulla al cucciolo d’uomo e di conseguenza ritenuto l’abbattimento del tutto evitabile.
L’approssimazione e le offese sono il lato peggiore della rete. Un mercato infimo in cui ognuno, anche il peggior esemplare umano, può liberamente dire la sua tranquillo del fatto che nessuno andrà mai a chiedergli il conto per quelle parole. Così, procedendo per assiomi, tutti diventano giudici o arbitri, allenatori e premier, commentatori o esperti d’arte. Una platea media di comuni mortali che si ergono a censori di qualsiasi comportamento arbitrariamente ritenuto errato.
Non vogliamo difendere i due genitori in questione, e non perché pensiamo non ne siano degni, ma semplicemente perché non necessario.
Chiunque sa perfettamente quanto sia facile distrarre per un attimo lo sguardo da un bambino, senza che questo si traduca automaticamente in una inadeguatezza alla genitorialità. La sfortuna di queste due persone è stata che la loro disattenzione è costata la vita ad un essere totalmente estraneo al loro mondo.
Siamo certi, o speriamo sia così, che i primi ad essere sconvolti dall’accaduto, abbattimento compreso, siano i componenti della famiglia in questione. Oltre allo shock di vedere il proprio bambino cadere da una altezza di circa 4 metri e al fatto di trovarsi davanti a due metri circa di muscoli e istinto, la consapevolezza di doversi in definitiva confrontare con una tra le forze più bestiali e feroci dell’intero regno animale. E non parliamo del gorilla di pianura, ma della stupidità umana.
Del resto, come ebbe a dire Umberto Eco in un’intervista rilasciata pochi mesi fa: “I social media danno diritto di parola a legioni di imbecilli. […] Prima parlavano solo al bar dopo un bicchiere di vino, senza danneggiare la collettività. Venivano subito messi a tacere, mentre ora hanno lo stesso diritto di parola di un Premio Nobel. È l’invasione degli imbecilli”.
Luca Arleo
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