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Feb 18, 2016 Arte & Musica, Cultura
Opera di Goshka Macuga, foto di Eleonora Dafne Arnese
E’ come se improvvisamente il tempo si immobilizzasse. Sculture sparse evocano l’idea di cosmo, l’origine dell’universo, della vita. In opposizione, ma solo apparente, un androide che, immerso nella totale staticità delle opere, intrattiene gli astanti con il suo monologo, composto da frammenti di discorsi elaborati da grandi pensatori della storia.
E’ così che Fondazione Prada a Milano presenta la nuova mostra “Goshka Macuga: to the sun of man who ate the scroll”, in calendario fino al prossimo Giugno. Un progetto complesso, frutto di una lunga e approfondita ricerca dell’artista polacca che traccia uno scenario dicotomico tra passato e futuro, arte e tecnologia, umanità e robot. Il percorso si sviluppa nel Podium, nel piano superiore con installazioni di rotoli di carta ricoperti da disegni, testi e formule matematiche tracciati dal sistema “Paul-n” che illustrano la storia del progresso umano, in collaborazione con il pittore multimediale Patrick Tresset e, infine, nella Cisterna con curiose teste di bronzo scolpite, che raffigurano le figure storiche di grandi intellettuali come Einstein, Freud, Martin Luther King e Karl Marx (per citarne solo alcuni) e con cui Macuga richiama alla memoria delle strutture molecolari interconnesse. Straordinario come venga a crearsi un surreale contrasto tra la freddezza architettonica della Cisterna della Fondazione e il percepibile calore ed energia del pensiero di queste grandi menti della nostra storia.
Il percorso della mostra, a tratti difficile da comprendere tanto quanto profondo, schiude agli occhi dei visitatori uno scenario apocalittico, in cui il concetto di fine è ricorrente e in cui la tecnologia e la memoria artificiale che già da tempo impregnano la nostra società di fatto, dal punto di vista di Macuga, sono i fattori che potenzialmente potrebbero contribuire all’estinzione dell’umanità.
Una mostra intensa e riflessiva che porta a interrogarsi sul senso e sul valore dell’umanità e del progresso.
Eleonora Dafne Arnese
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