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Lug 09, 2015 Attualità, Italia
Diciamocelo, lo speravano un po’ tutti che al referendum greco prevalesse il fronte del NO. Lo sperava principalmente la Sinistra (quella vera) di tutta Europa – quella che rifiuta il potere delle banche – e lo sperava pure tutta la Destra ultra nazionalista del continente, che si erge a baluardo contro la dittatura di Bruxelles e Berlino, a difesa della sovranità nazionale. Poi lo speravano ovviamente i Movimenti, difficili da inquadrare nella geografia politica, che però allo stesso modo, in Italia con M5S e in Spagna con Podemos, hanno pregato fin dall’annuncio della consultazione popolare di poter brindare alla sconfitta della EU.
Infine lo speravano molti cittadini sparsi un po’ in tutto il continente. Chi per credo politico e chi per convinzione economica, chi perché sinceramente persuaso che qualcuno doveva dire basta a questa politica di austerità e chi perché certo che con il NO la Grecia toglierà il disturbo e con lei le problematiche da mesi stanno bloccando la EU.
Ognuna di queste categorie ha seguito il referendum con interesse per capire fin dove si sarebbero spinti gli elettori greci e se davvero avrebbero schiaffeggiato apertamente la signora Merkel e la sua campagna per il Sí. Ora, confermato il dato, con altrettanto cinismo tutti ne attendono le conseguenze pratiche.
In fin dei conti piace che la storia in questione ricalchi un po’ quella di Davide contro Golia, della ragione contro la forza, di chi è mosso da sentimenti nobili opposto a chi invece spinto dal solo istinto e in questo caso dai ben poco romantici calcoli. Piace vedere uno scontro impari, soprattutto se si condividono le ragioni del più debole, ci si immedesima nella battaglia con il vantaggio – non trascurabile – di rischiare nulla più che qualche ora di chiacchiera.
Ma quando la musica finisce e gli amici se ne vanno (per dirla alla Califano) a fare i conti con la realtà rimangono quelli che i problemi dovranno poi affrontarli per davvero. A cominciare dai risultati di una battaglia vinta che, proprio i Greci che di storia ne hanno insegnata tanta lo sanno bene, non sempre si traduce nel medesimo risultato finale. Del resto Plutarco riporta le parole di Pirro – guarda caso ellenico – che dopo due vittorie sui romani, capì bene l’altissimo prezzo pagato in termini di uomini e disse che “Un’altra vittoria così e si sarebbe rovinato”. Per completezza di informazione aveva ragione, alla fine la guerra la vinsero le truppe imperiali di Roma.
Nonostante sia suggestivo pensare a una UE immobilizzata davanti a 8 milioni di persone che in un tripudio democratico dicono basta e si ergono muro contro la cieca logica economica – qui il parallelo con Leonida e i 300 ci sia concesso – non bisogna chiudere gli occhi su quello che sarà il dopo. E anche in questo caso c’è il rischio che le Termopili diventino triste rimando.
Tsipras sta giocando una partita delicata e dal punto di vista politico forse la sua mossa è stata l’unica per non rischiare di trovarsi schiacciato tra popolo ed Europa. Abilmente si lascia corteggiare dalla Russia, ma non chiude la porta alla UE; parla di taglio del debito e di misure capestro ma ritiene di poter presentare proposte con gli stessi che – ovviamente – gli chiedono garanzie che lui non è disposto e in grado di dare. Ognuno sa che la Grecia i soldi non li restituirà mai, almeno non tutti. Capire come uscirne e salvare la faccia è un problema tutto di Bruxelles; Atene è convinta di poter strappare un accordo e forse ha ragione perché è strategicamente impensabile lasciare che il Paese esca del tutto dalla sfera di influenza europea. La prospettiva più plausibile è quella di una Grecia fuori dall’Euro ma comunque nella UE.
Il Vecchio Continente passa forse il suo più brutto momento e non solo per via del referendum greco, ma per il fatto che Atene non è sola. Un vento di disaffezione soffia forte in moltissimi Paesi e questo, a prescindere da qualsiasi analisi sulle motivazioni, è il più grande fallimento della UE.
Luca Arleo
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