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Gen 25, 2015 Attualità, World Wide
A dispetto di una vita passata nel lusso, l’ex regnante dell’Arabia Saudita re Abdullah bin Abdulaziz è stato sepolto in una tomba scarna e anonima dopo una cerimonia sobria in pieno stile islamico. Morto all’età di 90 anni, lascia dietro di sé un regno ricchissimo e immobile, uguale a se stesso dagli anni della fondazione ad oggi. Gli succede il fratellastro Salman, e nessuno si aspetta chissà quali riforme da questo 80enne con importanti incarichi alle spalle e un ictus da poco superato. Un passaggio di consegne tutto sommato senza grossi traumi. Ad animare la questione, però, ci hanno pensato le Cancellerie di molti paesi occidentali le quali hanno descritto il defunto quasi stessero leggendo di lui da qualche agiografia o memorie di santi, e se è vero che a un morto non si nega mai una parola buona, con lo strettissimo alleato degli USA non ci può certo badare al capello. Senza voler mancare di rispetto, però, risalta alquanto il fatto di leggere dichiarazioni che lodano il fu-regnante per il suo impegno nelle “inter-faith relations” (Tony Blair dixit) tralasciando alcuni aspetti di questo supposto ecumenismo. Va ricordato, difatti, che proprio l’Arabia Saudita non ospita nemmeno una chiesa sul proprio suolo e non ammette altra fede se non quella islamica all’interno dei suoi confini. In Bahrein, Kuwait e Qatar sono presenti luoghi di culto cristiani e poco tempo fa il re Hamad bin Isa Al Khalifa (Bahrein) ha donato ulteriori 9000 mq per edificare la prima cattedrale dedicata alla “Nostra Signora d’Arabia”. Non c’è libertà religiosa ma almeno viene garantita quella di culto. In Arabia no. Ma dalle parti di Riyadh sono molti altri i problemi, spesso sottolineati da Human Right Watch, che passano sotto silenzio. La quasi totale mancanza di diritti per le donne è solo un aspetto di una società piena di contraddizioni, soprattutto se paragonata all’immagine che i media e i leader di mezzo mondo stanno dando di essa e del suo deceduto re, dipinto come illuminato innovatore neanche stessimo parlando di Cesare Beccaria (suo il primo scritto contro la pena di morte e riguardo il principio per cui nessun uomo può disporre della vita di un altro, concetto non pienamente recepito dall’Arabia dove la pena capitale funziona che è una meraviglia). Il fatto è che sono stati tanti, Obama e Bush in testa, a sottolineare il ruolo di spicco di questo riformatore, non tenendo in minima considerazione i sistematici abusi verso i più elementari diritti umani perpetrati nella piena indifferenza della comunità internazionale, non ultimo l’esecuzione pubblica di una donna birmana accusata di aver ucciso il figlio e decapitata in strada con tanto di video. Non proprio un comportamento che Hollande ammetterebbe nelle sue piazze. La ragion di Stato è sacra, lo sappiamo, ma forse un profilo più dimesso avrebbe avuto un gusto meno ambiguo agli occhi di chi legge e si informa. Ci sono state diverse voci fuori dal coro che hanno criticato aspramente i toni suntuosi e un atteggiamento definito incoerente rispetto ai valori fondamentali della democrazia. E in effetti, a sentire Cameron, qualcuno avrebbe potuto pensare stesse parlando del Dalai Lama piuttosto che del Re di uno dei regimi più dispotici al mondo. La vera contraddizione risiede nel fatto che non più tardi di qualche giorno fa si sfilava compatti per le vie di Parigi contro chi cerca di annichilire la libertà di espressione e oggi ci si ritrova tutti ad omaggiare questa sorta di “sovrano illuminato” che però, tra una riforma e l’altra, deve aver dimenticato di legiferare in merito alla suddetta libertà, permettendo che un giudice potesse condannare un blogger a 1000 frustate, 10 anni di carcere e 196.000 euro di ammenda, per aver criticato il ruolo della religione nella società, sfiorando di pochissimo l’accusa di blasfemia e la conseguente pena di morte. Vive la Liberté.
Luca Arleo
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