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Lug 17, 2014 Attualità, Italia
Roma, dal corrispondente
Tedeschi e Brasiliani. Nessuno a parte loro avrà tifato Germania nella finale del Mondiale giocata al Maracanà di Rio. I primi per ovvio amor di patria, i secondi perché veder festeggiare gli “odiati” cugini sarebbe stato uno smacco troppo grande da sopportare. Soprattutto dopo aver esaurito la scorta di umiliazioni a disposizione, all’indomani del 7 a 1 subito proprio dall’armata tedesca. Tutto il resto del mondo – Europa in testa – avrebbe voluto assistere al finale da favola disneyana in cui la povera ma geniale Argentina affonda la corazzata tedesca tutta muscoli e tattica. Non che qualcuno abbia nulla contro i Tedeschi, per carità, ma è che ormai hanno un marchio. Un po’ come Jessica Rabbit quando si giustifica dicendo: “Non sono cattiva, mi disegnano così”. Ognuno ha il proprio destino, e quello dei teutonici è, per definizione, di vincere. Con le ovvie conseguenze in termini di simpatie. Sono riusciti a rialzarsi nonostante abbiano perso due Guerre Mondiali su due (con tutto ciò che ne è seguito) e, per restare al calcio, 4 finali di Coppa del Mondo su 8. Non proprio un ruolino di marcia impeccabile, insomma. Eppure eccoli là. A dettare le regole del gioco economico ad un intero continente e, adesso, con la Coppa in mano di ritorno dal Brasile. Poi c’è la squadra. Leggi la formazione e ti accorgi che la fonetica dei nomi non è propriamente tedesca. Almeno non per tutti i 23 in lista. E scorrendo, noti che ci sono ghanesi, polacchi, albanesi e, ovviamente turchi. Figli o nipoti di immigrati che la Germania ha integrato nel proprio tessuto sociale. Allora la domanda sorge spontanea: ma non è che vincono (nel senso più ampio del termine, non solo calcistico) perché hanno un bagaglio umano più ampio da cui attingere? Senza voler scendere nel dettaglio delle politiche di integrazione tedesche rispetto alle nostre, c’è solamente la constatazione di un fatto. Magari non sarà questo il segreto del successo di Rio cui abbiamo assistito ( Francia e Inghilterra non hanno fatto una bella figura nonostante il melting pot), ma di sicuro è un valore aggiunto per la società tedesca (francese e inglese), in senso più ampio.
Comunque, tornando alla supposta antipatia, in fondo va bene così! In ogni storia c’è chi fa la parte – suo malgrado – di quello inviso ai più. Non antipatico, ma semplicemente troppo perfetto per non attirarsi qualche critica. Gastone ad esempio, il cugino di Paperino, non è cattivo, ma è sempre tirato a lucido e, per di più, fortunato. Come non risultare “antipatico”? Figuriamoci con la Germania che, se nella finale mondiale può aver avuto qualche aiutino dalla dea bendata (Higuain ha sulla coscienza la delusione di mezzo mondo), lo stesso non può dirsi in politica dove la serietà (per i nostri governanti più difficile da raggiungere di un 6 al superenalotto) e la solidità sono un marchio di fabbrica.
Pur volendola criticare, poi, ci pensi due volte quando ti ritrovi la Merkel in vacanza in Italia (frequenta Ischia da quando era ragazza) a passeggiare come una comune mortale e a chiacchierare con i vecchi amici del posto seduta al bar, mantenendo un profilo più basso di quello che un qualsiasi fuoriuscito dalla casa del Grande Fratello sfoggerebbe. Quell’atteggiamento normale, l’understatement direbbero gli Inglesi, la fa sembrare meno minacciosa e più umana. Quasi Italiana.
Ma ha un difetto: lei fa il suo lavoro. Bene. E questo non possiamo proprio perdonarglielo.
Luca Arleo
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