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Gen 03, 2013 Attualità, Italia
Il vizio è tutto italiano: ci sono gli intoccabili e quelli mandati a farsi fottere.
I primi hanno fatto o fanno tutto bene, i secondi sono delle mezze pippe e basta.
Non c’è bilanciamento. O rosso o nero, o magro o grasso, o Berlusconi o Monti. Questo viziaccio italiota, poi, nello showbiz, porta nel pantano gente onesta come Reitano, Masini, Martini e molti altri e crea delle icone (in special modo da morte) che, vabbè, qualcosa di buono han fatto, ma da molti anni non avevan molto da dire e si perdevano tra futili sperimentazioni, alla ricerca del tempo perduto.
Un caso notevole è rappresentato da Lucio Dalla. Musicista eclettico, certo, bella voce, istrionico sì, ma da Anna e Marco, Cara, Come è profondo il mare, Banana Republic (anche grazie a De Gregori) non aveva più detto, scritto e suonato nulla di veramente interessante.
Nel periodo con Morandi aveva strizzato l’occhio al botteghino e ad un’operazione di puro marketing. Poi ha incontrato Attenti al lupo che gli ha regalato il fido Ron, una canzoncina da Zecchino d’oro. Poi ancora, rivisitando Dicitencello vuje, un pezzo di Fusco del ’30, ha creato Caruso, che è accattivante, strappacore, acchiappastomaco ma, insomma, in sostanza, una paraculata.
Però guai a dirlo, si passa per cinici, qualunquisti, criticoni. Insomma, il Dalla degli ultimi decenni non ci piace, ci sembra finto, costruito a tavolino, sindacale. E la nostra opinione rimane solo un’opinione (ne avremo la possibilità?), accanto alle messe cantate, alle sviolinate, post mortem, da funerale alla Gilletti. Amen
Mauro Pecchenino
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