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Dic 13, 2012 Attualità, Italia
Quando si parla di crisi sembra si faccia riferimento ad una crisi globale dalla quale non esistano vie d’uscita. Questo è vero, ma in parte. La crisi in effetti non è che la messa in discussione di un modello di sviluppo basato sulla forsennata ricerca della produzione, considerato come unico parametro utile per misurare il progresso e la crescita di una società. Produrre per esistere, estremizzando al massimo. Ma se sostituissimo al termine produzione quello di trasformazione? La teoria dell’economista belga Gunter Pauli, pone le basi di questo affascinante concetto, espresso nel suo libro: “The Blue Economy: 10 years, 100 innovation, 100 million jobs” (Edito in Italia da Edizioni Ambiente). Un’idea semplice che va oltre il modello della Green Economy, che pur basandosi sul lodevole intento di ridurre al minimo l’impatto ambientale presenta spesso costi proibitivi per gli investitori. La Blue Economy secondo Pauli, non richiede spese eccessive per la sua attuazione. Sembra un’utopia ma l’autore ha il pregio di illustrare nel suo libro alcuni modi (alcuni già in uso) con cui mettere in pratica questo nuovo modello di sviluppo. I presupposti su cui si basa la “blue economy” sono tre. Il concetto di trasformazione, opposto a quello di produzione che causa il depauperamento delle risorse naturali; l’osservazione degli ecosistemi naturali, vera fonte di ispirazione per un tipo di economia che lavori in simbiosi con l’ambiente e, concetto più importante, l’innovazione basata sulla condivisione delle conoscenze, cioè sul lavoro in team di esperti appartenenti a varie discipline. Nella sua opera l’economista belga analizza 100 innovazioni naturali che, oltre a ridurre l’impatto ambientale e avere un costo irrisorio, creerebbero nuovi posti di lavoro. Un esempio concreto è l’idea di utilizzare gli scarti della pianta di caffè (che costituiscono il 99,8% del volume di partenza) per creare un substrato ideale per la coltivazione di funghi. Questo processo, stando ai dati delle coltivazioni in cui è stato adottato, porterebbe alla creazione di due nuovi posti di lavoro per ogni piantagione che lo adotta, con circa 25 milioni di piantagioni di caffè in 45 paesi, ciò si tradurrebbe in altri50 milioni di posti di lavoro a livello globale. Come teorizzato da Pauli dunque, gli scarti diventano risorse che danno vita ad un nuovo processo produttivo. Interessanti sono poi quelle innovazioni che si basano sull’osservazione delle strategie adottate da diverse specie animali per trovare soluzioni adatte a risolvere problematiche che condividono anche gli umani. Pauli propone ad esempio di imitare il sistema di filtraggio dell’acqua dei pinguini, che sono dotati di un desalinizzatore naturale che gli permette di bere l’acqua di mare. Insomma la forza della teoria di Pauli sembra risiedere nella sua capacità di trovare un’armonia tra le più moderne tecnologie e competenze e la più ancestrale delle saggezze, quella nata dal rispetto delle forze naturali.
Marco Lovisco
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