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Ott 15, 2012 Terza Pagina
Dal film Reality di Matteo Garrone
Reality è il nuovo film di Matteo Garrone. La storia narrata è quella di Luciano, un pescivendolo napoletano, il quale per accontentare i suoi tre figli va a fare un provino per le selezioni del Grande Fratello. Da questo momento in poi inizierà la sua drammatica discesa verso la follia.
Luciano viene contattato dal programma per recarsi a Roma a sostenere ulteriori provini ed è in quell’istante che scatta in lui la convinzione che sarà uno dei fortunati prescelti che riusciranno ad entrare nella casa. Inizia in questo modo a vivere la sua vita unicamente in funzione del momento in cui arriverà la chiamata definitiva: si vende la pescheria per assicurare alla moglie e ai figli il mantenimento durante la sua reclusione nella casa, smette il suo commercio illegale di robottini per la cucina a causa della paura di essere scoperto e intravede in ogni persona che lo avvicina una possibile spia mandata dal programma per verificare se ciò che ha raccontato sia verità o finzione. Tutto si gioca sulla dicotomia sogno/realtà dove però sia l’uno che l’altro posseggono elementi di distorsione. Nel film tutti i personaggi sono ben caratterizzati e molto reali: la moglie Maria che si accorge della follia del marito e cerca inutilmente di farlo ragionare, la madre convinta che la partecipazione al programma rappresenti per il figlio un’opportunità imperdibile, oppure la zia che cerca di persuaderlo a lasciar perdere. Anche i partecipanti ai provini per entrare nella casa (illusi come lui che il successo del programma li possa “sistemare per tutta la vita”), somigliano molto a tutti quei giovani e meno giovani che periodicamente compongono quelle interminabili file di futuri partecipanti al gioco, che vediamo in televisione.
Nel film però Luciano (nella meravigliosa interpretazione dell’ergastolano Aniello Arena) ha qualcosa di diverso da tutti gli altri. Nonostante la sua disperazione, non risulta mai patetico né grottesco. Luciano finirà per ammalarsi della sindrome del Truman Show, cadrà in depressione e inizierà a compiere gesti assurdi, come regalare tutti i mobili di casa ai pazzi e ai poveracci del quartiere, nella convinzione che il Grande Fratello continui a spiarlo.
Molto orwelliano e molto attuale, il film rappresenta un’umanità disperata e illusa dalle false promesse della televisione e dell’epoca in cui viviamo, dove per essere qualcuno bisogna per forza apparire, in tutti i sensi. Molto belle sono le riprese e i piani sequenza. Solo un elemento, a nostro avviso è portato all’estremo e risulta fastidioso. Questo elemento è la napoletanità di Luciano e di tutto l’ambiente che lo circonda: la madre che gli prepara cibo bastante ad un esercito per la sua “trasferta” a Roma, il matrimonio trash e sontuoso, tipico del sud, con cui si apre il film, oppure il modo di vestire di Luciano e di sua moglie e molto altro. Insomma, Garrone forza troppo i clichè e lo stereotipo del napoletano, dando l’impressione che il protagonista viva in questo modo una disgrazia nella disgrazia: l’essere napoletano appunto e l’ossessione per il programma televisivo. A nostro parere il film avrebbe avuto lo stesso successo anche se Luciano fosse stato romano, milanese o veneziano e forse avrebbe riscattato i napoletani dal vedersi rappresentati per l’ennesima volta come un popolo di creduloni, ingenui, kitsch e disperati.
Paola Tudino
paolatudino@gmail.com
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