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Mag 27, 2009 Cosa bolle in Pentola
Quante volte abbiamo pensato che alcuni atteggiamenti animali possano essere ricondotti a schemi antropomorfi e quante volte abbiamo pensato che certi uomini si comportino in modo bestiale?
Il comportamento umano è davvero così complesso?
Le stesse domande se le pongono spesso anche due figure specialistiche che sono distanti solo per convenzione. Lo psichiatra e l’etologo studiano, di fatto, il comportamento in parte complesso dell’Homo sapiens sapiens e le altre specie animali. Le due figure così espresse sono sicuramente un po’ generiche, infatti, esistono i cosiddetti psichiatri comportamentisti e gli etologi tout court.
Il comportamento umano è articolato per ragioni di morfologia cerebrale ed è così perché la corteccia cerebrale umana è particolarmente spessa e convoluta. Insomma, c’è una proporzionalità diretta, fra lo spessore della corteccia e la complessità comportamentale.
Seguendo l’evoluzione e salendo dagli organismi più semplici, fino a quelli complicati e, volendo rimanere nei vertebrati, si può notare che un pesce ha un cervello più liscio e più piccolo di un gatto, che a sua volta ha meno circonvoluzioni di un delfino, che per esempio ha una corteccia cerebrale e, in particolar modo, la corteccia frontale grande quanto quella umana. I delfini, infatti, hanno un comportamento molto adattabile e variabile e una costruzione del linguaggio molto articolata. L’uomo ha un cervello straordinariamente circomvoluto, una corteccia frontale molto sviluppata, neuroni (cellule cerebrali) in grado di formare sempre nuove sinapsi e quindi di aumentare a dismisura gli scambi informazionali fra una cellula e l’altra. Non stupisce che il suo comportamento sia così flessibile e intelligente da sfociare spesso in patologie di tipo psichiatrico. Le sovrastrutture di pensiero umane che tanto permettono, fra invenzioni e soprattutto comunicazione, dall’altro rendono la specie Homo particolarmente soggetta a delle ”devianze” comportamentali per sfuggire anche alle eccessive pressioni ambientali.
Questa non è la sede per approfondire l’argomento a tal punto da renderlo interessante per i medici o per gli etologi e antropologi puri, ma l’intento è di definire una certa labilità di confine fra le due categorie.
Quando uno psichiatra si trova di fronte ad un paziente e deve ipotizzare una diagnosi, gli somministra generalmente dei test riferiti alla patologia psichiatrica e, durante il colloquio, osserva le relazioni del paziente. L’etologo pone in alcune condizioni standardizzate (non modifica l’habitat abituale) l’animale e ne osserva il comportamento. Quest’affinità d’approccio ha condotto alcuni psicoanalisti o psichiatri a passare all’osservazione degli animali, per capire su che base e a che livello evolutivo partano i sentimenti.
Questi ultimi, hanno notato che alcuni comportamenti si conservano in molte specie animali a più livelli evolutivi.
Allora gli psichiatri possono avere quest’approccio anche sugli umani?
Di certo l’uomo ha una struttura cerebrale più complessa (vedi spessore e circonvoluzioni) ma proprio questa complessità gli permette di salire e scendere la scala evolutiva e, di fatto, adattare il suo comportamento alla situazione e al suo sentito. La plasticità cerebrale umana permette di comportarsi di volta in volta con uno schema comportamentale simile a un certo livello evolutivo.
Questo permette di suddividere grossolanamente le varie tipologie di pazienti e iniziare a capire dal suo comportamento di quale patologia psichiatrica soffre.
Per esempio, uno schizofrenico sarà sfuggevole come un piccolo erbivoro o come una colomba e, solo se attaccato direttamente nella sua sfera interiore, reagirà con violenza. Appunto, come un volatile di fronte ad un potenziale predatore del suo nido. Fuggirà se il predatore avrà lui come bersaglio, difenderà il suo nido se il predatore punterà quest’ultimo.
Anche in gruppo il genere umano tenderà ad avere un comportamento diverso, a seconda se il suo sentito sarà favorevole o meno e adotterà degli atteggiamenti riconducibili ad altre specie animali.
E chi conosce il concetto di leadership, non faticherà a fare molti paragoni con i predatori carnivori che vivono in branco (lupi o leoni) in cui, di fatto, si stabiliscono delle precise gerarchie e degli equilibri. Le medesime persone mischiate in altri gruppi o in altre situazioni potrebbero tranquillamente assumere un ruolo diverso da quello della situazione precedente.
L’Uomo estremizza una plasticità che già si presenta in molte specie animali e riesce a delocalizzarla dal contesto naturale in cui si trova e a portarla a un livello metaforico che è un termine molto vicino a immaginatorio. Il paziente psichiatrico si crea un ambiente di vita adatto alle sue condizioni psicologiche e, un esempio classico, è proprio lo schizofrenico. Naturalmente il concetto si può allargare anche a patologie meno gravi, come ansia e depressione.
Fin qui si è scritto solo di atteggiamento fisico ma è bene precisare che questo modo di avvicinarsi al paziente psichiatrico può partire anche dall’ascolto del suo parlato o proprio dal suo non parlato e individuare anche qui dei comportamenti schematizzati. Ad esempio, un ansioso tenderà spesso a giustificare e a motivare il suo operato e questo comportamento di autocontrollo e di continuo ritorno sul suo enunciato ricorda il comportamento dei piccoli roditori che con agitazione riposizionano di continuo i piccoli nel nido o tornano spesso alla tana per verificare se tutto procede per il meglio. Il loro comportamento è molto nervoso fatto di scatti, come il paziente ansioso del resto.
Quanto scritto in quest’articolo vuole essere di stimolo a una riflessione sul comportamento umano e con la speranza di rendere meno pesante l’approccio con le altre persone che forse si sono comportate come non dovevano, solo perché avevano assunto lo schema comportamentale della “bestia” sbagliata.
Federico Giurgola
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