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Lug 08, 2012 Attualità, Italia
La cultura del consumo si espande in continuazione su territori sociali sempre nuovi. Moltiplica le dimensioni e il numero dei luoghi dove acquistare i prodotti (supermercati, ipermercati, centri commerciali, discount, negozi specializzati, ecc.), ma allo stesso tempo tende progressivamente ad occupare molti luoghi che sinora erano estranei ad essa (alberghi, ristoranti, aeroporti, cinema, ecc.).
A fianco di ciò, la cultura del consumo invade in maniera crescente anche ambiti di tipo culturale che nelle società capitalistiche occidentali erano in passato estranei ad essa: educazione, arte, politica, sport, salute, ecc. Per i sociologi, infatti, era chiaro da tempo che le società moderne, per potersi sviluppare, avevano avuto bisogno di «differenziarsi», cioè di istituire una serie di ambiti sociali (la politica, l’educazione, il diritto, ecc.) ciascuno dei quali era delegato a svolgere una specifica funzione ed era tenuto nettamente separato dagli altri. Ora, invece, siamo di fronte ad un processo di collassamento generalizzato in cui i confini tra i diversi ambiti si disgregano progressivamente. Siamo cioè sempre più davanti ad un’unica rete planetaria in cui tutti i soggetti operano congiuntamente.
Se tutto ciò è potuto avvenire è soprattutto a causa della forza manifestata in ogni spazio sociale dalla cultura del consumo, cioè a causa di quell’irresistibile fascino che le merci sono in grado di esercitare. Sembra che sia operante una sorta di «legge del consumo» che regola il funzionamento dell’intera società. Una legge che impone in maniera crescente a tutti gli individui di comportarsi da consumatori in qualsiasi ambito sociale essi si trovino.
Probabilmente ciò sta avvenendo perché per gli individui che vivono in società complesse come le attuali ci sono delle crescenti difficoltà a definirsi sul piano sociale impiegando le variabili sociologiche di tipo tradizionale (sesso, età, reddito, ecc.). Soltanto infatti con il contributo delle merci e delle loro marche gli individui possono collocarsi socialmente in maniera efficace. Possono, cioè, costruirsi un’identità sociale impiegando materiali provenienti dalla comunicazione delle merci. Spesso, portando direttamente queste ultime sul proprio corpo, come nel caso dei capi di abbigliamento che recano in bella evidenza il marchio dell’azienda produttrice, e trasformandosi così in una sorta di vetrina in movimento. La pubblicità, infatti, propone all’individuo delle identità precostituite, collocandole all’interno di un certo contesto sociale e legandole ad uno specifico stato d’animo ma soprattutto ad una particolare merce e alla sua marca.
È noto da tempo come tutto ciò non sia in realtà che un’illusione, perché le identità costruite in tal modo dagli individui sono necessariamente delle costruzioni temporanee. L’impiego di merci instabili, per l’incessante obbligo dei mercati di rinnovarsi, non può infatti che produrre delle identità altrettanto instabili. Eppure, nonostante tutto, il consumatore è attratto dal gioco di costruzione della sua identità attraverso le merci, dalla libertà apparentemente infinita di scegliere i prodotti che gli vengono offerti.
Vanni Codeluppi
Docente dell’Università di Modena e Reggio Emilia
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